Davanti all’avanzata delle truppe del Cremlino sul campo di battaglia, continua il pressing del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, sugli alleati affinché diano il via libera all’uso di armi occidentali per colpire in Russia. Secondo il leader del Patto Atlantico, “inviare equipaggiamento militare a Kiev non significa fare entrare la Nato nella guerra in Ucraina. Sta di fatto, però, che difendere Kharkiv,” la città al confine con la Russia, “sarà sempre più difficile senza colpire obiettivi militari legittimi in territorio russo”.
Un’opera di convincimento che sembra aver fatto breccia a Bruxelles, con l’Alto Rappresentante Ue per la Politica Estera, Josep Borrell, che si è detto convinto che “secondo la legge della guerra, non c’è contraddizione nel combattere contro chi mi combatte. Va considerato il rischio di escalation ma va bilanciato il rischio di escalation con la necessità degli ucraini di difendersi”, aggiungendo che è “lecito togliere le restrizioni all’uso di armi a Kiev”. Un’apertura che è stata subito cavalcata da gran parte dei Paesi baltici e dalla Francia, che hanno addirittura alzato la posta in gioco parlando della necessità di inviare militari, seppur con compiti limitati all’addestramento delle truppe, direttamente sul suolo ucraino.
A dirlo è stato il ministro della Difesa estone, Hanno Pevkur, secondo cui “l’Ue deve dare un chiaro segnale alla Russia e all’Ucraina sulla disponibilità a un maggior impegno nella formazione delle truppe di Kiev”.
Nella guerra in Ucraina, l’Europa si inchina alla linea bellicista di Washington e della Nato
Ma c’è chi, come il ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski, in un’intervista a Repubblica, si è spinto oltre spiegando che “non possiamo escludere” l’invio di truppe di Varsavia a sostegno del fronte difensivo di Volodymyr Zelensky, aggiungendo che per ora non è stata ancora presa una decisione definitiva ma che in questa fase è importante “lasciare Putin col fiato sospeso sulle nostre intenzioni”. Una serie di dichiarazioni di intenti, più o meno concrete, che fanno presagire una possibile escalation del conflitto.
Ad ammonire dei rischi di questa deriva bellicista dell’Occidente è il presidente della Bulgaria, Rumen Radev, secondo cui “le dichiarazioni frettolose dei nostri politici e delle nostre istituzioni che la Bulgaria non invierà truppe in Ucraina non significherebbero assolutamente nulla se un altro Stato membro della Nato provocasse uno scontro diretto con la Russia. Scatterebbe l’articolo 5 del Patto Atlantico. Siamo testimoni di come la retorica e i passi intrapresi in questa direzione siano in costante crescita”.
A suo giudizio “dobbiamo renderci conto che c’è un’escalation nei discorsi, nella retorica, nei media e nelle azioni. Ed è ora che i politici bulgari aprano gli occhi e si impegnino per porre fine a questa guerra il più presto possibile”.