La diplomazia internazionale è ritornata a parlarsi. Venerdì il segretario alla Difesa americano, Lloyd Austin, aveva sentito l’omologo russo, Sergey Shoigu. Ieri il presidente finlandese, Sauli Niinisto, ha parlato con il leader del Cremlino, Vladimir Putin (tutti gli articoli sulla guerra in Ucraina).
Guerra in Ucraina, il presidente finlandese Niinisto ha parlato con Putin. Venerdì la telefonata tra Austin e Shoigu
Le due conversazioni hanno in parte allentato la tensione. Washington aveva chiesto a Mosca il cessate il fuoco immediato, ma al di là del contenuto, aveva alzato la cornetta per la prima volta dall’invasione. Nella mattinata odierna, invece, il numero uno di Helsinki ha chiamato il collega russo per informarlo dell’intenzione finlandese di entrare nella Nato.
Nonostante la contrarietà del Cremlino, che ha definito “un errore” la scelta di aderire all’Alleanza atlantica (leggi l’articolo), dal viceministro degli Esteri sono arrivate comunque rassicurazioni: “Non abbiamo intenzioni ostili in relazione alla Finlandia e alla Svezia”, ha precisato Alexander Grushko, che però ha aggiunto: “Dipende dalle infrastrutture che verranno dispiegate nei due Paesi”.
La scelta di Helsinki e Stoccolma, ha chiosato il rappresentante di Putin, “non rimarrà senza una reazione politica” ma “è presto per parlare di dispiegamento delle forze nucleari russe nella regione baltica”.
Insomma, Mosca stavolta non ha alzato il livello dello scontro: potrebbe essere il risultato della telefonata americana di ieri o l’accerchiamento internazionale che sta mettendo sempre più all’angolo, dal punto di vista diplomatico, il Cremlino.
E neanche al fronte i risultati appaiono soddisfacenti. Da fonti russe non arrivano conferme del ritiro da Kharkiv ma anche oggi l’entourage di Zelensky ha sottolineato la controffensiva ucraina in tutta la regione nord-orientale e la riconquista di numerosi villaggi.
L’unica zona in cui le forze di Mosca stanno mantenendo il controllo – pur senza avanzare – è quella meridionale: rimangono in mani russe Kherson, Melitopol e Berdiansk, ossia la fascia costiera che dal Donbass meridionale porta alla Crimea, e l’arretramento da Kharkiv potrebbe appunto significare la volontà di consolidare il controllo sul Mare d’Azov, rinunciando però agli obiettivi pre-24 febbraio.
Se Mosca si accontenterà di questo lo sapremo nei prossimi giorni ma forse Putin si sta rendendo conto che non ha uomini e mezzi per gestire più fronti diversi senza una mobilitazione generale e conseguentemente la dichiarazione di una guerra effettiva all’Ucraina.
Nel frattempo non si placa la furia sulla Azovstal: anche oggi artiglieria, bombe e carri armati hanno attaccato l’acciaieria, dove centinaia di combattenti continuano a resistere mentre il resto di Mariupol è un cumulo di macerie, in cui almeno 150 mila persone sono ormai alla fame. Persino l’acqua potabile scarseggia, come ha riferito il consigliere comunale Petro Andriushchenko, secondo il quale i cittadini sono “ostaggi delle autorità occupanti”. Una situazione che ormai perdura da settimane ma che nessuno, a livello internazionale, riesce a risolvere.