Adesso c’è una data. Il premier Mario Draghi parlerà al Senato il 19 maggio nel corso del question time o premier time che dir si voglia. Ma non è esattamente quello che volevano i Cinque Stelle. I pentastellati, che già chiedevano che Draghi intervenisse alle Camere prima di volare da Joe Biden, non hanno gradito la formula trovata del question time.
Il M5S pretende dal premier Draghi comunicazioni formali con tanto di voto
La capogruppo del M5S in Senato, Mariolina Castellone, mette agli atti il dissenso dei pentastellati. La richiesta è che Draghi venga al più presto in Parlamento per “comunicazioni” sull’esito delle sue missioni internazionali riguardanti la guerra che infuria a Kiev, fa sapere. Il question time, si argomenta tra i 5S, è meno esaustivo data la sua durata e le comunicazioni peraltro avrebbero richiesto la votazione di atti di indirizzo.
Analoga richiesta di comunicazioni – ma è stata respinta dall’assemblea di Palazzo Madama- è arrivata dal capogruppo del ricostituito gruppo Cal, Mattia Crucioli. E anche Fratelli d’Italia spinge perché il question time diventi un’informativa.
Comunque sia i partiti aspettano al varco l’ex banchiere. Sono soprattutto Lega e M5S mentre Draghi è in volo per gli States ad alzare il tiro. “Il Movimento sta impiegando tutti gli sforzi possibili per spingere l’Italia e a seguire l’Europa e la comunità internazionale ad avviare un serio e credibile negoziato in modo da pervenire al più presto a una soluzione politica del conflitto, l’unica in grado di porre fine alla carneficina, alle distruzioni, alle sofferenza”, ha dichiarato il leader M5S, Giuseppe Conte.
“È inopportuno che Draghi non sia venuto in Parlamento come gli avevamo chiesto, l’indirizzo politico va preso dal Parlamento. Non so quale sia la posizione di Draghi, il tema non è il decreto ma la politica dell’Italia: siamo con Biden e Johnson che, pare, si preparino a una guerra continua, oppure con Mattarella che propone una conferenza di pace?”, rilancia Riccardo Ricciardi, vicepresidente M5S.
Che alla vigilia dell’incontro tra Biden e Draghi non risparmia una frecciata all’attuale amministrazione americana. Ricciardi spiega come la guerra tocchi molto più noi europei che non gli americani e che la soluzione è che si favorisca immediatamente un tavolo di negoziazione, “che però sta facendo Erdogan e non Biden”. Se Biden chiedesse a Draghi di inviare armi pesanti in Ucraina? “Venga a dire in Parlamento quali sono le richieste”, conclude Ricciardi.
E anche Leu con Stefano Fassina chiede che Camera e Senato tornino a esprimersi sulle questioni aperte con la massima urgenza, come quella sull’invio di armi. In realtà tra le forze politiche cresce il pressing del fronte pacifista, che spinge per una soluzione negoziale alla guerra e comincia ad esprimere perplessità proprio sulla posizione di Nato, Usa e Regno Unito.
Anche il segretario del Pd Enrico Letta ha riposizionato il partito su posizioni pacifiste invitando l’Europa a farsi promotrice di un’azione di pace e a non lasciarsi guidare solo dagli Usa. Lo stesso Matteo Renzi ha benedetto l’incontro Biden-Draghi ma ha spiegato che è uno dei tanti: “Occorre che ci sia una soluzione politica e che l’Ue giochi un ruolo che per ora non ha giocato”, dice.
L’Italia “non è in guerra”, “non vuole fare la guerra a nessuno” e non vuole perseguire “obiettivi geopolitici di altri”, avverte il leader della Lega Matteo Salvini. Che lancia a Draghi un messaggio ben preciso: “Conto che sul tavolo del presidente Biden arrivi una richiesta di pace e non di armi. Inviare nuove armi allontanerebbe la pace. Nel giorno in cui Draghi parte per gli Usa, visto il contesto difficile, il costo delle bollette di luce e gas, non possiamo più permetterci altri mesi di guerra.
Draghi e Biden parlino di pace. Se c’è qualcuno che ama parlare di armi invece che di pace è fuori luogo”. Per Salvini sia Putin che Zelensky “vogliono farla finita”, anche perché “nel 2022 nessuno vince sul campo”. Si tratta allora di costringerli a sedersi a un tavolo e poi saranno loro a decidere cosa fare e cosa chiedere, senza intromissioni esterne.
E le “intromissioni esterne” per il leghista hanno nomi e cognomi precisi: quello di Boris Johnson, “il più bellicista dei bellicisti”; quello di Jens Stoltenberg perché “Zelensky addirittura ha detto che la Crimea può essere considerata russa ma qualcuno da fuori ha detto no e mi chiedo chi sta facendo la guerra con chi”; quello di Biden la cui amministrazione “mi sembra abbia intrapreso un percorso bellico”.