Avanti tutta. Senza accordo. È la posizione del centrodestra che per giovedì mattina ha precettato tutti: onorevoli, senatori, usceri, portaborse e parcheggiatori abusivi… Tutti dovranno essere presenti in aula alle 10 spaccate per la votazione in simultanea dei due rami del Parlamento dei quattro membri del Consiglio di amministrazione Rai. Il giorno successivo, probabilmente, l’esecutivo della premier Giorgia Meloni indicherà ufficialmente i nomi di presidente (Forza Italia tiene fermo quello di Simona Agnes) e dell’amministratore delegato (l’ultra-meloniano Giampaolo Rossi).
Ma non c’è accordo su nulla
Il tutto, nonostante non vi sia un accordo sui nomi – o meglio, sulla lottizzazione delle poltrone – né all’interno della maggioranza di centrodestra, né vi sia alcuna convergenza con le forze di opposizione. Circa i consiglieri, FdI punta sulla giornalista Federica Frangi, mentre il Carroccio dovrebbe candidare Antonio Marano, anche in ragione dell’età avanzata, perché, in caso di mancata nomina del Presidente, sarebbe il consigliere più anziano del Cda e quindi il presidente facente funzione. Tuttavia è proprio la Lega a destabilizzare la maggioranza, con i suoi appetiti circa direzioni di Tg e di aree.
Le opposizioni volevano far slittare il voto
Gli eletti del centrodestra hanno ricevuto la precettazione nel primo pomeriggio di ieri, quando ormai era chiaro che il richiesto slittamento della votazione a data da destinarsi da parte dell’opposizione, era tramontato. Una evidente forzatura della maggioranza, che spera di trovare una sponda in Parlamento. “Altrimenti – è la linea – andremo avanti lo stesso”.
Out out di Gasparri
Il più chiaro, ieri, il senatore Maurizio Gasparri, che ha avuto il merito di non celare il ricatto posto dalla maggioranza: “La nostra posizione è sempre la stessa: ci auguriamo che Agnes sia designata. Il presidente viene votato dopo in Vigilanza Rai, con i due terzi. Noi abbiamo aperto agli stati generali e alla riforma” della governance, “se non ci saranno i due terzi sul presidente, se non c’è un atteggiamento costruttivo, non si può pretendere di fare gli stati generali”. Tradotto: o votate la (nostra) presidente oppure la riforma del servizio pubblico potete anche dimenticarvela.
“Basta correggere gli errori di Renzi”
Sull’ipotesi che le opposizioni non si presentino in aula, ha commentato: “Questo non lo so, si consulteranno con Nanni Moretti per vedere se li si nota di più se stanno in disparte o se non vengono… Si sta andando nella direzione che ho auspicato da tempo e che la nota dei leader del centrodestra indicò: l’apertura a una ipotesi di riforma che poi discuteremo nel merito”.
“Tutti parlano di questo Media Freedom Act, ma dice cose di una tale genericità che sembra il piano di Draghi sull’Europa”, ha aggiunto. “La legge Gasparri è stata modificata in un solo punto in peggio. Da chi? Dal Pd. L’ha modificata Renzi quando era presidente del Consiglio creando l’amministratore delegato designato dal governo”, ha concluso Gasparri, “Ho già la proposta, basta correggere gli errori del Pd ed è fatta”.
Opposizioni divise in aula
E, in tutto ciò, le opposizioni? Secondo voci parlamentari, il Partito democratico sarebbe combattuto sulla partecipazione o meno al voto in aula. Interrogato sulla questione, il capogruppo dem al Senato, Francesco Boccia, ha risposto con un laconico: “Vedremo”. Avs, invece, sembra intenzionata a votare. Chi sicuramente, nonostante le voci di accordi sottobanco, non parteciperà al voto in aula è il Movimento Cinque Stelle.
Fronte compatto in Vigilanza
Ma la partita non si esaurirà col voto di domani. Quello è solo il preliminare. Il vero scontro avverrà infatti in sede di Commissione di Vigilanza Rai, dove i neo-nominati dovranno essere approvati con i due terzi dei voti. E lì il centrodestra i voti non li ha. Ne mancano almeno due. E, proprio sull’atteggiamento da tenere in commissione le opposizioni sembrano coese sulla posizione espressa dai capigruppo in Commissione di vigilanza il 10 settembre scorso: chiusura a ogni accordo.
Per il centrosinistra, infatti, prima occorre incardinare la riforma della governance Rai e solo dopo procedere alle nomine. “Il fatto che forzino così la mano”, commenta un esponente Pd, “è la prova che il centrodestra questa riforma non la vuole”.