Ci sono voluti quasi vent’anni e un testo coraggioso per riuscire a cambiare le regole che disciplinano le cause per diffamazione a mezzo stampa. Già perché, almeno fino ad oggi, aveva voluto mettere mano a quel sistema che, pur cercando di garantire il diffamato, è stato spesso usato per tappare la bocca o quantomeno scoraggiare i giornalisti scomodi. Il disegno di legge approvato ieri in Commissione Giustizia, dopo una serie sterminata di rinvii che – a dirla tutta – non facevano presagire nulla di buono, passa ora all’esame dell’Aula del Senato dove già si preannuncia all’orizzone un confronto serrato tra maggioranza e opposizione. Il documento su cui dovranno dibattere è, infatti, quello fortemente voluto dal Movimento 5 Stelle e di cui il primo firmatario è il senatore Primo Di Nicola.
Un testo tutt’altro che sterminato, anzi piuttosto semplice e snello come dovrebbe essere una norma efficiente, in cui viene affrontato il tema delle cosiddette “liti temerarie”. Contrariamente a quanto ci ha abituato la politica nostrana, il documento si fonda su un solo articolo che interviene sul codice di procedura civile per limitare l’azione civile risarcitoria contro i giornalisti. La norma stabilisce, infatti, qualora risulti “la mala fede o la colpa grave di chi agisce in sede di giudizio civile per risarcimento del danno”, che il giudice, “con la sentenza che rigetta la domanda”, condanni l’attore, oltre che alle spese, “al pagamento a favore del richiedente di una somma, determinata in via equitativa, non inferiore alla metà della somma oggetto della domanda risarcitoria”. Per farla breve, se una persona chiede 100mila euro perché si è sentito diffamato ma il giudice gli dà torto, rischia di dover pagare la metà della richiesta risarcitoria al giornalista.
RISULTATO STORICO. Un risultato storico sottolineato, con una nota, dallo stesso Di Nicola: “L’approvazione in commissione Giustizia del mio disegno di legge sulla lite temeraria è una bella notizia, un passo importante per arrivare a dare al mondo del giornalismo italiano una tutela che manca da troppo tempo”. Il firmatario del ddl ha poi tenuto a precisare di voler “ringraziare il relatore Arnaldo Lomuti, i senatori della maggioranza e anche chi all’opposizione ha riservato attenzione e spirito collaborativo. Adesso il mio auspicio è che si possa esaminare e approvare il provvedimento in aula e anche alla Camera. Così chi vuole fermare la libera stampa dovrà pensarci bene prima di agire”.
QUESTIONE ANTICA. Una questione tanto antica – ma non altrettanto nota – per la quale qualcuno potrebbe pensare che si tratti di una vicenda di poco conto. Ma non è affatto così. Anzi il tema non si poteva rimandare ulteriormente perché il tribunale di Salerno e successivamente quello di Modugno, in provincia di Bari, avevano sollevato dubbi di costituzionalità sulla misura del carcere per il giornalista condannato per diffamazione. Una vicenda che entrambi gli uffici giudiziari hanno rimandato alla Corte Costituzionale che, entro primavera, dovrà prendere una decisione e che, come già accaduto con la questione sul “fine vita”, rischia di essere l’ennesimo smacco alla politica.
Ma c’è di più perché sulla vicenda si è espressa analogamente anche la Corte Europea dei diritti dell’uomo (Cedu) decretando che la misura detentiva lede i diritti dell’uomo e che l’Italia deve porvi rimedio. Insomma un tema spinoso di cui se ne occupa da tempo l’associazione “Ossigeno per l’informazione” con in prima linea il segretario Giuseppe Mennella che chiedeva di approvare “il disegno di legge di Di Nicola” magari “ampliandone la portata dall’ambito civile a quello penale”.