Sulla guerra civile scoppiata all’improvviso in Siria, che ha portato alla cacciata del sanguinario dittatore Bashar al-Assad per mano dei gruppi jihadisti riuniti sotto la guida di Abu Mohammed al Jolani, è già tempo di sospetti e accuse incrociate tra le potenze coinvolte, a vario titolo, nel teatro mediorientale. Da un lato ci sono le accuse dell’Iran, guidato da Ali Khamenei, il vero sconfitto del conflitto in quanto sostenitore di Assad, che punta il dito contro gli Stati Uniti e Israele, accusandoli di aver orchestrato “un piano congiunto per rovesciare” il dittatore e infliggere un duro colpo “all’asse della resistenza” – secondo lui senza successo – sostenuto dal regime di Teheran.
Dall’altro, lo scambio di accuse tra i due vincitori, il primo ministro dello Stato ebraico Benjamin Netanyahu e il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan, che cercano di approfittare della situazione per estendere le rispettive zone di controllo in Siria. Una crisi in cui avrebbe avuto un ruolo anche l’Ucraina di Volodymyr Zelensky che, secondo quanto riportato dall’editorialista del Washington Post, David Ignatius, avrebbe fornito “droni e altro supporto di intelligence” ai gruppi jihadisti per colpire gli interessi russi in Siria. Nell’articolo si legge che il servizio di spionaggio ucraino avrebbe “inviato 20 operatori di droni esperti e circa 150 droni FPV (First Person View) al quartier generale dei ribelli a Idlib, in Siria, quattro o cinque settimane fa per aiutare Hayat Tahrir al-Sham (HTS), il principale gruppo ribelle con sede lì”, nella conquista del potere.
I gruppi jihadisti vogliono prendersi tutta la Siria, sotto attacco pure i ribelli curdi sostenuti dagli Stati Uniti
Che tanti attori internazionali abbiano avuto un ruolo in questa guerra civile è più che probabile. Del resto, molti stanno cercando di sfruttare le debolezze dell’Iran, che sembra avere enormi difficoltà nel gestire la crisi mediorientale, e della Russia, troppo concentrata sul conflitto ucraino, per ridisegnare nuovi equilibri in tutta l’area.
Una ribellione interna alla Siria che non sembra essere soltanto il frutto della brutale repressione dei civili portata avanti da Assad – fuggito a Mosca per salvarsi la vita dall’annunciata vendetta dei guerriglieri islamici – ma che evidentemente muove interessi disparati. Una situazione che conferma le parole di papa Francesco, il quale da tempo afferma che siamo di fronte a una “terza guerra mondiale a pezzi”.
Una guerra per procura
Quel che è certo è che, con la presa del potere da parte di al Jolani, in Siria le tensioni e i combattimenti non si sono ancora placati. I gruppi jihadisti, sostenuti sotto banco da Ankara, hanno lanciato un’offensiva nell’est del Paese, conquistando la città di Deir Ezzor, finora controllata dalle forze curde sostenute dagli Stati Uniti. Di pari passo con l’avanzata dei combattenti islamici, Israele continua a colpire la Siria con un’impressionante mole di raid aerei.
Secondo le forze armate dello Stato ebraico, che hanno già occupato le alture del Golan, dalla caduta di Assad sono stati condotti ben 480 attacchi sul suolo siriano, “causando la distruzione di aerei militari e apparecchiature radar”. Operazioni militari che sono state duramente condannate dalla Russia di Vladimir Putin, che le ha definite “illegali” in quanto mirate a costituire una zona cuscinetto, e che “difficilmente contribuiranno a stabilizzare la situazione in una Siria già destabilizzata”.