di Vittorio Pezzuto
Sarà pur vero che “il Grillo canta sempre al tramonto” (come recita il titolo di un libro militante caro ai pentastellati) ma quello che si ode in queste ore di tramontata rivoluzione grillina assomiglia più a un frinire triste e rancoroso. La decimazione dei voti alle amministrative siciliane libera infatti energie a lungo compresse nella pentola a pressione del Movimento 5 Stelle ed espone Beppe Grillo a ciò che fino a pochi giorni or sono era impensabile: la critica esplicita di alcuni suoi parlamentari, che lo accusano di voler minimizzare – come un politico qualunque – le dimensioni clamorose della disfatta. A farsi portavoce di un malcontento diffuso è stata ieri la senatrice Adele Gambaro: «Due Comuni conquistati non sono un successo, ma una debacle elettorale» ha scandito senza esitazioni ai microfoni di SkyTg24. «Inoltre ci sono percentuali molto basse. Stiamo pagando i toni e la comunicazione di Beppe Grillo, i suoi post minacciosi. Mi chiedo come possa parlare male del Parlamento se qui non lo abbiamo mai visto. Lo invito a scrivere meno e osservare di più. Il problema del MoVimento è Beppe Grillo. Noi il lavoro lo stiamo facendo e questo non viene percepito. Invece di incoraggiarci, scrivendo questi post ci mette in cattiva luce. Credo che altri all’interno del Parlamento abbiano le mie stesse idee; il disagio c’è ed è evidente, ma non arriva a un dissenso vero e proprio».
Quando uno vale niente
Come tutti gli intolleranti abituati a insultare chiunque senza contraddittorio, il leader prima ha reagito con l’arma spuntata del vittimismo, evocando una sorta di referendum online su se stesso («Vorrei sapere cosa pensa il MoVimento 5 Stelle di queste affermazioni. Ditemi se sono io il problema»), quindi ha invitato la senatrice ad andarsene “per coerenza” dal gruppo parlamentare. Per aiutarla nella scelta ha pubblicato un post dai toni malmostosi: «Uno vale uno quando rispetta, vive e conosce a fondo l’etica politica del progetto a cui partecipa. Uno vale niente, quando scopre che la propria ‘etica’ coincide con quella di partiti altrui, ma prende in giro i propri compagni di strada restando solo per costruirsi un potere personale. Quando crede di essere diventato onorevole per chissà quali fortune, per chissà quali divine investiture, e usa il progetto di milioni di italiani per promuovere se stesso e assicurarsi un posto al sole, allora è uno che non vale proprio niente». Tramortito dalla sconfitta, Grillo persevera così nell’errore di trasformare in una caserma conformista un movimento che si era presentato alla ribalta come una forza politica libertaria e irriverente.
Tant’è vero che la difesa d’ufficio di alcuni suoi adepti – su tutti il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio e il deputato Alessandro Di Battista – non è riuscita a suturare la ferita profonda nei gruppi parlamentari. Lo dimostra la spaccatura netta che si è verificata in diretta streaming quando i senatori hanno votato il successore di Vito Crimi alla carica di capogruppo: l’ha spuntata di stretta misura Nicola Morra che nel ballottaggio ha ottenuto 24 voti conto i 22 dello sfidante Luis Orellana. Due le schede bianche. Il nuovo ‘portavoce’ dei pentastellati di Palazzo Madama ha esordito con una dichiarazione accomodante: «Mi piacerebbe essere all’altezza delle aspettative, perciò statemi accanto con critiche costruttive. Nessuno ha la verità in tasca, io per primo. Insieme si cresce, da soli si va alla deriva. Non c’è un leader e 52 gregari, ma 53 fratelli». Fratelli coltelli, verrebbe da aggiungere.