Alessandro Di Battista è tornato dall’Iran e neppure il virus lo ferma. In questo momento così difficile attacca il governo e i suoi stessi colleghi e lo fa nel solito modo, barricadero, convulso, involuto, corrosivo, infiltrante, deflagrante, ironico e apodittico a cominciare dall’incipit simil-ciceroniano: “Ci hanno chiamato giustizialisti e manettari…”. Lo fa alla “maniera dei moderni”, come direbbe un letterato d’Arcadia, lo fa su Facebook, il luogo divenuto ormai deputato al posto delle conferenze stampa.
CASUS BELLI. Un documento, sottoscritto, tra gli altri, da una trentina di parlamentari, che è un atto d’accusa al governo e ai supposti cedimenti del Movimento alle logiche dei poteri forti. Il casus belli riguarda specificatamente la riconferma di Claudio Descalzi amministratore delegato dell’Eni, cioè la più potente corazzata “di Stato” italiana, vera erede dell’Impero Iri. Il post, un doppio siluro al governo e al Movimento, è dedicato completamente a lui e alle vicende giudiziarie dell’Eni per corruzione internazionale in Congo. Ora è vero che la riconferma di Descalzi ha provocato levate di scudi da una parte dei Cinque Stelle (e di Travaglio sul Il Fatto Quotidiano) ma perché Di Battista non se la prende con il vero mandante di quanto accaduto, e cioè quel Partito democratico che di Descalzi è il principale sponsor?
ATTACCO SCOMPOSTO. L’attacco è strumentale perché alla fine anche i grillini devono venire necessariamente a patti con i riti della politica, cioè le trattative, soprattutto su nomine strategiche in un periodo eccezionale per l’economia mondiale e per quella italiana in particolare. Sbagliare nomine ora avrebbe conseguenze disastrose. Dibba forse vede nella proposta di Lucia Calvosa a presidente Eni la pistola fumante del “commercio immondo”, essendo la Calvosa nel Cda de Il Fatto ed essendo Il Fatto/Travaglio vicino al Movimento, ma si tratta comunque di una professionista valida e non è che sia così sconvolgente una proposta di questo tipo.
DISSIDENTI DI RITORNO. Alessandro Di Battista ha sparato ad alzo zero sulla faticosa trattativa impallinando tutto e tutti e raccogliendo adesioni digitali da parte di Gianluca Paragone, ora nel gruppo misto, e di Massimo Bugani che guida la rivolta degli scontenti dopo gli screzi con Luigi Di Maio e il suo arrivo incolore a Roma. Si accodano le ex ministre Giulia Grillo e Barbara Lezzi. Queste le truppe di Di Battista, francamente poco più un trattino evanescente, che unisce il malcontento di qualche nome non certo di primo piano del Movimento, più che un compatto fronte d’azione. In ogni caso si tratta di un atto grave che in un momento delicatissimo può portare a dividere, per una sorta di fissione nucleare, il Movimento stesso in due parti, come un uovo di Pasqua al cioccolato.
Ma la “sorpresa” che vi si intravvede è il caos interno che rapidamente propagherebbe la sua onda d’urto allo stesso governo, impegnato a sua volta in azioni e scelte delicatissime, le più difficili dalla nascita della Repubblica. Dunque agire ora, con tempismo sospetto, quando è massimo il danno arrecato al suo stesso gruppo politico e all’intera Italia, è una azione che non potrebbe non avere i connotati di un cinico opportunismo di colpire l’avversario quando è debole e sotto scacco. Qualcuno nel Movimento stesso lo ha chiamato sciacallaggio.