Si chiamano “climate litigation” e sono le azioni legali avviate con lo scopo di imporre a governi o aziende il rispetto di determinati standard in materia di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e di limitazione del riscaldamento globale.
Greenpeace Italia, ReCommon e dodici privati cittadini hanno citato Eni per i danni derivanti dai cambiamenti climatici
Le azioni di contenzioso climatico sono già oltre duemila in tutto il mondo e per la prima volta questo tipo di battaglia legale è arrivata in Italia. Greenpeace Italia, ReCommon e dodici privati cittadini hanno infatti notificato nei giorni scorsi all’Eni un atto di citazione per l’apertura di una causa civile nei confronti della società, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (queste ultime due realtà in qualità di azionisti che esercitano un’influenza dominante sulla società) per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui Eni ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone consapevole.
I cittadini coinvolti nella causa vivono tutti in aree già colpite dagli impatti dei cambiamenti climatici, come l’erosione costiera dovuta all’innalzamento del livello del mare, la siccità, la fusione dei ghiacciai. Il Tribunale di Roma dovrà accertare il danno e la violazione dei loro diritti umani alla vita, alla salute e a una vita familiare indisturbata. Gli attori che hanno intentato la causa chiedono inoltre che Eni sia obbligata a rivedere la propria strategia industriale per ridurre le emissioni derivanti dalle sue attività di almeno il 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020, come indicato dalla comunità scientifica internazionale per mantenere l’aumento medio della temperatura globale entro 1,5 gradi centigradi secondo il dettato dell’Accordo di Parigi sul clima.
Viene infine chiesta la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze, azionista influente di Eni, ad adottare una politica climatica che guidi la sua partecipazione nella società in linea con l’Accordo di Parigi. Le due associazioni e gli attori coinvolti ritengono poi inaccettabile che, a fronte di extra profitti record realizzati nel 2022, il colosso energetico continui a investire nell’espansione del suo business fossile, a danno del clima e delle comunità locali che in tutto il mondo subiscono gli impatti del riscaldamento globale. “La conferma di Claudio Descalzi (nella foto) al vertice della società da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, avallata dall’intero governo, rende inoltre quest’ultimo complice di scelte che aggravano la crisi climatica”, scrivono in un comunicato Greenpeace Italia e Re-Common.
L’azione intrapresa con ReCommon e 12 cittadini è stata promossa anche contro il Mef e Cassa depositi
Nello stesso comunicato sono riportate le testimonianze di due dei dodici cittadini ricorrenti. “L’operato di Eni contribuisce ad aggravare notevolmente la crisi climatica, con conseguenze sempre peggiori per me e per il mio territorio, il Polesine. Nei pressi del Delta del Po, il mare avanzerà sempre di più nelle nostre terre, e con la risalita del cuneo salino rischiamo di trovarci a vivere in un vero e proprio deserto o di essere costretti abbandonare la nostra casa e la nostra terra”, dice Vanni, mentre Rachele (di entrambi non è pubblicato il cognome, ndr) spiega: “Non ritengo giusto che il principale fornitore di energia italiano, di cui lo Stato tra l’altro è il maggiore azionista, possa portare avanti un programma di investimenti che va contro gli obiettivi fissati dall’ultimo rapporto dell’Ipcc, massima autorità scientifica globale in fatto di cambiamenti climatici”. Alla campagna che promuove l’iniziativa legale contro Eni è stato dato il nome #lagiustacausa.