Nessuna gradualità, il whatever it takes di Draghi sul fronte della lotta alla pandemia è drastico: quello per l’estensione dell’obbligo del Green Pass in tutti i luoghi di lavoro (leggi l’articolo) è “un decreto necessario per continuare ad aprire il Paese”. Nella conferenza stampa dopo il Consiglio dei ministri spetta ai ministri Speranza, Brunetta, Gelmini e Orlando spiegare il provvedimento. Una “strategia universalistica”, è la definizione utilizzata dal titolare della Pubblica amministrazione: “Andiamo a toccare tutto il mondo del lavoro, pubblico e privato, dipendente e autonomo per un totale di 23 milioni di lavoratori”, ha affermato.
L’obiettivo fondamentale, ha poi sottolineato il ministro della Salute, è quello di “Rendere i luoghi di lavoro più sicuri, e rendere ancora più forte la campagna di vaccinazione” e “Un utilizzo ancora più significativo del Green Pass ci aiuterà ancora di più. Abbiamo scelto sin dall’inizio – ha sottolineato – una linea di prudenza e gradualità una linea che ha funzionato, e credo che dobbiamo lavorare tutti in questa direzione”.
Parla di massima condivisione anche con gli enti locali la ministra per gli Affari regionali: “Questo decreto ha registrato un ampio consenso di tutte le forze politiche e un’ampia condivisione all’interno della conferenza unificata delle regioni, dal punto di vista politico rappresentative di tutta la maggioranza, ed è stato votato all’unanimità in Consiglio dei ministri, ci sono state delle proposte di modifica che sono state recepite. Come sta accadendo da un po’ di mesi – ha sottolineato – il presidente Draghi riesce a fare sintesi delle diverse sensibilità e questo provvedimento ha il consenso di tutti i partiti di maggioranza”.
Una visione molto “ottimistica”, quella della Gelmini: in realtà c’è chi come il leader della Lega Matteo Salvini per tutta l’estate e fino a qualche giorno fa vedeva il Green Pass come una misura da evitare come la peste.
SALVINI PERDE SU TUTTA LA LINEA. Il 4 luglio, al termine di un faccia a faccia con Draghi, il Capitano giurava che l’Italia non avrebbe mai imitato il modello francese, “è da cambiare”, intimava il 26 luglio al termine del primo via libera in Cdm (con l’avvallo dei suoi ministri); e ancora: “Un lasciapassare per accedere agli istituti scolastici? Non scherziamo”, fino ad arrivare al recente blitz di Claudio Borghi in commissione alla Camera e agli emendamenti di FdI votati dalla Lega. “Se non ci fosse la Lega al governo domani non si farebbe il Green Pass obbligatorio, ma la vaccinazione obbligatoria”, prova a giustificare così ieri Salvini quella che di fatto è una sconfessione totale della sua linea da parte del premier Draghi.
Neanche i tamponi gratuiti. Nulla. Ma si sa, è sempre colpa degli altri: “Pd, M5S e Forza Italia sono assolutamente allineati per un obbligo indiscriminato – ha tuonato – Io e la Lega siamo e saremo sempre contrari e continuiamo a fare da argine verso questa deriva. Non darò mai la soddisfazione a Letta e a Conte di fare quello che vogliono”, salvo poi precisare che, in ogni caso, “decidono i ministri e i governatori della Lega che vanno in Cdm e in conferenza Stato-regioni”.
Che sono allineati, da Giorgetti a Zaia, da Fedriga a vari sindaci leghisti, più alla linea “draghiana” che a quella del loro segretario. Anche se al momento non vi è un’esplicita richiesta di celebrare i congressi – e nessuno “in chiaro” mette in dubbio la leadership di Salvini, di certo i malumori serpeggiano. E la rincorsa forsennata a rincorrere Giorgia Meloni – che però ha le mani libere visto che sta all’opposizione – sta iniziando a far storcere il naso.