Una sentenza storica del Consiglio di Stato del 20 settembre 2024 ha accolto, per la prima volta in materia di immigrazione, un’azione collettiva contro la Pubblica Amministrazione. La decisione, che conferma una precedente sentenza del Tar della Lombardia, segna un punto di svolta nella tutela dei diritti dei migranti.
La svolta storica: l’azione collettiva entra nel diritto dell’immigrazione
Al centro della controversia sono i “gravi e sistematici ritardi” della Prefettura di Milano nella gestione delle domande di emersione dal lavoro irregolare, previste dal decreto-legge n. 34/2020. L’azione legale, promossa da associazioni come ASGI, Oxfam, CILD, Spazi Circolari e NAGA, insieme a oltre 100 cittadini, mirava a “ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio” da parte della Pubblica Amministrazione.
Il Consiglio di Stato ha ribadito che il termine massimo per concludere la procedura di emersione non può superare i 180 giorni. Questa scadenza, sistematicamente disattesa, ha causato gravi disagi a migliaia di lavoratori stranieri, lasciandoli in un limbo giuridico e sociale potenzialmente devastante.
La sentenza critica duramente l’operato della Pubblica Amministrazione, definendo la situazione un “fenomeno di diffusa e cronicizzata mala gestio amministrativa”. I giudici hanno respinto le giustificazioni basate sull’elevato numero di domande o sulla presunta presenza di tentativi di falsificazione, sottolineando che, in presenza di adeguate risorse finanziarie, l’inefficienza non può essere giustificata.
Particolarmente severo è il giudizio sulle misure correttive adottate dall’amministrazione, definite “intempestive” e tardive. Il Consiglio di Stato ha rimarcato che tali interventi avrebbero dovuto essere implementati fin dall’inizio o almeno prima della presentazione del ricorso.
La sentenza assume un’importanza capitale anche per il riconoscimento della legittimazione e dell’interesse ad agire delle associazioni del settore. Questo apre la strada a future azioni collettive, fornendo uno strumento potente per contrastare le inefficienze sistemiche della Pubblica Amministrazione nel campo dell’immigrazione.
L’azione collettiva, come sottolineato dai magistrati, “recepisce una istanza di tutela di ordine trasversale” che va oltre i limiti di una specifica inerzia. Si tratta di uno strumento concepito per incidere sul fenomeno di inefficienza nel suo complesso, dotando il giudice di poteri decisionali particolarmente penetranti.
Oltre la sentenza: un nuovo capitolo nella lotta per i diritti dei migranti
Le implicazioni della sentenza sono diverse: incoraggia il ricorso alle azioni collettive strategiche da parte di un numero crescente di attori della società civile, che vedono nei ritardi della Pubblica Amministrazione un nodo cruciale della violazione sistematica dei diritti non solo delle persone straniere, ma di tutti i cittadini.
Inoltre, la decisione segna un cambio di rotta rispetto al precedente orientamento restrittivo del Consiglio di Stato sull’azione collettiva. Oggi, il massimo organo della giustizia amministrativa stigmatizza la disfunzione burocratica in modo netto e inequivocabile.
I ritardi nel rilascio dei documenti alle persone straniere non sono una questione meramente amministrativa perché provocano danni gravissimi: perdita del lavoro, mancata iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale, impossibilità di esercitare i diritti sociali collegati alla titolarità del permesso. Così i ritardi finiscono per collocare le persone straniere in una condizione di marginalità sociale, spesso strumentalizzata dalla propaganda politica. Così accade che chi prende i voti promettendo di liberare le strade dai migranti sia lo stesso che ingolfa la burocrazia per lasciarli per strada. E il gioco ricomincia.