Nonostante l’ampia maggioranza che lo sostiene, il governo di Giorgia Meloni sforna decreti legge praticamente allo stesso ritmo dei governi Conte 2 e Draghi, che però dovevano fronteggiare uno tsunami come la pandemia. Lo si evince dall’analisi fatta dal sito Openpolis, il quale ha messo a confronto l’attività legislativa dell’esecutivo Meloni con i predecessori. Il risultato è che il governo più a destra della storia nazionale utilizza i due rami del Parlamento come una sua succursale, relegando cioè onorevoli e senatori a ratificare ciò che l’esecutivo ha stabilito.
Tre leggi su quattro di origine governativa
Vediamo i numeri: dall’insediamento del governo di centrodestra, avvenuto il 13 ottobre 2022, le leggi entrate in vigore sono state complessivamente 151. Un numero abbastanza alto, meglio (o peggio, dipende da come la si vede) fecero solo i governi Berlusconi IV (271 leggi) e Renzi (247).
Di quelle 151 norme, 3 su 4 sono state di origine governativa (114, cioè il 75,5%), un dato (inferiore a quello registrato col Conte 2 (85%) e col governo Draghi (80), i quali, nelle loro brevi durate procedevano a suon di decreti legge) che testimonierebbe una fervida attività parlamentare.
E proprio qui sta l’inghippo: perché una buona parte di quelle leggi – circa il 41% – sono state conversioni di decreti emanati dal governo (solo l’esecutivo Letta fece “meglio”, con il 58%).
Per Meloni una media di tre decreti al mese
Nonostante una solidissima maggioranza, infatti, il governo della premier Meloni ha proceduto con una media di 3,04 decreti al mese (72 quelli emanati in totale). Per avere un confronto, Draghi ne produsse 63 in 20 mesi, mentre 54 furono quelli firmati durante il Conte 2 in 17 mesi di vita (insieme fanno una media di 3,07 al mese).
Quindi Meloni e il suo governo forzano il sistema legislativo come se dovessero affrontare una catastrofe, come la pandemia. Solo che oggi non vi è alcuna pandemia. Questo ricorso massiccio alla decretazione d’urgenza – oltre a essere stato più volte stigmatizzato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dalla Corte Costituzionale e dalla Corte dei Conti – ingolfa il lavoro di Camera e Senato, dovendo ogni decreto essere convertito in legge entro 60 giorni. Tanto che nell’ultima legislatura ben otto decreti legge, l’11% di quelli redatti, sono decaduti.
L’escamotage dei “decreti Minotauro”
Ma la politica, invece di invertire la rotta e tornare a una sana dialettica parlamentare, ha trovato un escamotage: i cosiddetti “decreti Minotauro”. Il nome mitologico non deve ingannare: si tratta di una forzatura costituzionale: quando un decreto è prossimo alla scadenza, la maggioranza lo abroga anzitempo, ma, come si dice, “ne fa salvi gli effetti”, inserendolo nel testo di un altro decreto che dovrà essere convertito.
Un modus operandi deleterio sotto diversi aspetti: da una parte genera testi di legge infiniti e di quasi impossibile interpretazione; dall’altra, se un testo viene abrogato prima dei 60 giorni previsti, si accorciano anche i tempi di analisi e discussione dei singoli articoli, col risultato che il dibattito parlamentare ne risulta mutilato. Aspetti che, a quanto sembra, non sono una preoccupazione per Giorgia & Soci, considerato che in due anni di Minotauri ne hanno generati ben otto, con buona pace del parlamentarismo e della Costituzione, il premierato di fatto è già tra noi.