Era il 13 febbraio di un anno fa. Arrivava al Quirinale, un Mario Draghi nelle vesti di SuperMario, a capo del governo dei Migliori. Almeno così si diceva in giro. Sembrava di sentire le fanfare della stampa e dei poteri forti, gongolanti di fronte alla (loro) missione compiuta: portare il prediletto a Palazzo Chigi con una emanazione, Daniele Franco, al Mef.
Sergio Mattarella aveva affidato due principali compiti: le misure contro l’emergenza sanitaria e il rilancio economico. E in entrambi i casi, il bilancio dopo 365 giorni è deficitario. Così come tanti altri capitoli, che restano in attesa di soluzione. Dalla riforma del catasto alla scuola. Per finire al caro bollette, su cui il presidente del Consiglio ci aveva messo la faccia con una sua proposta, bocciata dalla maggioranza. In barba al decantato “metodo Draghi”, quello decisionista.
La pandemia non va via: dopo un anno di Governo, Mario non è più super
Dunque, Draghi è stato investito di un compito, prima di tutto: limitare i danni della pandemia. Il capo dello Stato specificò, in sede di assegnazione dell’incarico, che era impossibile andare al voto in un Paese con i contagi in risalita. Così il presidente del Consiglio ha indossato i panni da SuperMario, sperando che con l’arrivo dei vaccini si sarebbe risolto tutto.
Un’illusione ottica. Per mesi l’Italia si è gingillata sull’idea di essere in una situazione migliore rispetto agli altri Paesi, sull’onda degli elogi sperticati al generale Francesco Paolo Figliuolo. Si guardava con un senso di superiorità al Regno Unito, alla Francia e anche alla Germania che volavano sopra i 100mila casi al giorno.
Poi è arrivato il momento del disincanto: a gennaio, anche nella Penisola è stato sfondato il tetto dei 200mila casi, con i reparti ospedalieri che si sono gradualmente riempiti. Anche per responsabilità di un governo che ha varato, tra le tante cose, un decreto festività il 23 dicembre.
Quando ormai i buoi erano scappati e l’innesco dei contagi era partito. Certo, la campagna di vaccinazione è andata avanti. Ma ancora fino a poche ore fa si contavano 400 morti al giorno. La differenza rispetto al passato è che le vittime del Covid hanno assuefatto l’opinione pubblica.
Altro che locomotiva Ue: la crescita in un anno di Governo Draghi si è spiaggiata
L’economia è la materia preferita da Draghi. Sul punto c’è poco da discutere. Ci sarebbe invece da ridire sull’iperbolica narrazione di un miracolo italiano, che esiste solo nella propaganda. Lo svela la commissione europea, non un covo di antidraghiani.
Le stime del Pil italiano sono state riviste al ribasso: si arriva al +4,1%, rispetto al precedente 4,3%. Ma soprattutto Bruxelles ha smontato la bufala dell’Italia locomotiva d’Europa: il Belpaese è in linea con la crescita media dell’Eurozona (4%). Nessun traino, insomma.
Per intenderci: la Spagna, nel 2022 crescerà del 5,6 per cento, il Portogallo, la Polonia e l’Irlanda vedranno un balzo del 5,5, la Slovacchia del 5. E la Grecia andrà al +4,9 per cento. Certo, nel 2022 l’Italia farà meglio della Germania, la cui stima è al 3,6. Ma nel 2023, Berlino crescerà del 2,6, mentre Roma del 2,3 per cento.
Il controsorpasso è questione di mesi. Senza dimenticare che nell’Eurozona, per il prossimo anno, il Pil è previsto al +2,7, quasi mezzo punto in più del dato italiano. La crescita c’è, ci mancherebbe, quello che non si vede è il miracolo.
Riforma fiscale al palo in un anno di governo: sparito il dossier Catasto
La riforma fiscale è un’altra grande promessa, finora incompiuta, del governo Draghi. Agli atti resta un ritocco delle aliquote Irpef, che porta benefici alle classi più benestanti. Restando impalpabile per i più poveri. Ma al vaglio ci sarebbe anche un riforma complessiva, che prevede interventi sull’Ires e sull’Irap con una razionalizzazione dell’Iva. Se ne parla da mesi.
L’esecutivo ha dato la responsabilità al Parlamento. Così le commissioni di Camera e Senato hanno condotto un’indagine conoscitiva per sbloccare lo stallo, producendo una proposta. Da quel testo è partita una discussione in Parlamento. I tempi di approvazione sembrano lontani.
Intanto, la revisione del catasto resta lettera morta, ostaggio dei veti delle destre. Con buona pace del sempre celebrato metodo Draghi. Eppure, come hanno già spiegato gli esperti dell’Agefis, questo esecutivo dovrebbe solo avviare un lavoro, destinato a durare anni, valicando più legislature.
E cosa dire poi di una proposta avanzata dal premier in persona? Per contrastare il caro bollette, su cui il governo ha apposto un pannicello caldo, Draghi aveva detto che aveva una soluzione: un contributo di solidarietà a carico dei redditi superiori ai 75mila euro per reperire i fondi. L’idea fu avanzata in una cabina di regia.
La patrimonialina dell’ex Mr. Bce sarebbe stata una notizia di per sé. Lo è diventata ancora di più a causa del “niet” giunto dai partiti. Dal centrodestra ai renziani di Italia viva, l’iniziativa è stata arrestata. Così ora bisogna raggranellare fondi da qualche altro capitolo di spesa, con la previsione che sarà comunque una misura insufficiente.
Transizione finto green: bandiera verde ammainata
Fin dal primo giorno a Palazzo Chigi, Draghi ha garantito che il suo sarebbe stato un “governo ambientalista”. Grazie all’intuizione di Beppe Grillo, con il sostegno del Movimento Cinque Stelle, ha lanciato il ministero della Transizione ecologica.
Solo che la strategia ha mostrato delle falle da subito, con l’infelice scelta di Roberto Cingolani. Il giudizio degli esperti è impietoso: alla Camera è stata presentata una mozione di sfiducia al ministro, con la firma “green” della componente FacciamoEco.
E pensare che Draghi, prima del giuramento, ha voluto incontrare le principali associazioni ambientaliste, Greenpeace, Legambiente e Wwf. Dopo un anno il loro giudizio è questo: “Le proposte del Mite hanno indebolito l’impulso sul rilancio delle fonti rinnovabili”. Più che transizione è “finzione ecologica”, come denunciato anche da Europa verde.
Scuola e trasporti: due disastri annunciati del Governo Draghi
Sulla scuola è stato fatto poco o niente. E per di più quel poco fatti si è rivelato anche un disastro, come la ridda di norme incomprensibili sulla didattica a distanza, per non dimenticare la figuraccia sullo scritto agli esami. Roba che se al posto di Patrizio Bianchi ci fosse stata Lucia Azzolina, l’avrebbero crocifissa per mesi.
Quindi i genitori hanno fatto una bella fatica a orientarsi nella selva di regole e regolette. Senza dimenticare che il famigerato potenziamento del trasporto locale è finito nel libro dei sogni. Nel frattempo è partita la caccia alle streghe dello smartworking, da parte del ministro in quota Forza Italia della Pubblica amministrazione Renato Brunetta. E, ovviamente senza ammetterlo, Draghi è in ritardo persino sulla legge per la concorrenza. Di recente ha dichiarato: “La legge delega deve essere approvata entro marzo”.
Peraltro l’iniziativa sulla materia non è stata così travolgente: le lenzuolate di Bersani erano tutt’altra storia. Insomma un fallimento su tutta la linea. Anche personale. Perché, in fondo, Mario Draghi sperava in un anniversario diverso. E soprattutto di non doverlo celebrare a Palazzo Chigi, previo trasloco al Quirinale. Ma non si può ottenere tutto dalla vita.