di Vittorio Pezzuto
Abbiamo peccato di ottimismo, quando giorni or sono abbiamo annunciato che venerdì scorso il Consiglio dei ministri avrebbe finalmente deliberato le deleghe ai suoi membri senza portafoglio. La notizia era vera a metà, visto che ha riguardato solo i ministri Enzo Moavero Milanesi (Affari europei), Carlo Trigilia (Coesione territoriale), Graziano Delrio (Affari regionali e autonomie) e Gaetano Quagliariello (Riforme costituzionali). A un mese esatto dalla loro nomina, restano quindi ancora nell’impossibilità di firmare alcunché i loro colleghi Dario Franceschini (Rapporti col Parlamento), Cécile Kyenge (Integrazione), Josefa Idem (Pari Opportunità, sport e politiche giovanili) e Giampiero D’Alia (Pubblica amministrazione e semplificazione). Una situazione surreale, destinata a protrarsi per almeno un’altra settimana e che mal si accorda con l’immagine di un governo di emergenza che lotta caparbiamente contro il tempo per arginare gli effetti devastanti della crisi economica. Al riguardo vorremmo poter scrivere di screzi tra ministri di colore politico diverso e di accordi ancora in via di definizione per accontentare ciascuno dei litiganti. Sarebbe quantomeno l’indizio della loro voglia di fare, del volersi superare a vicenda con il varo – ciascuno nel proprio settore – di riforme davvero incisive. E invece pare che il clima a Palazzo Chigi e dintorni sia sereno, placido, rilassato. «Il ritardo nelle deleghe? Normale prassi burocratica, state tranquilli, non sta succedendo nulla» ci fanno sapere dal governo. Ecco, appunto.
Ballo lento
Quello di Enrico Letta è davvero il governo di “Vedrò”. Solo che il riferimento non va al think tank trasversale promosso in questi anni dal giovane presidente del Consiglio quanto all’indicativo futuro (molto indefinito) che l’esecutivo sembra aver adottato come modus agendi.
Chi si aspettava che l’inciucio sarebbe stato ballato al ritmo compulsivo del foxtrot si arrenda all’evidenza: il ballo scelto dal duplex Letta-Alfano è semmai quello del lento da balera di provincia. Pochi fatti, molti tweet e la netta sensazione che a questo giro siano in pochi (Fabrizio Saccomani in primis) a contare nell’esecutivo, con tutti gli altri a fare da sfondo.
Fonti governative sostengono invece una tesi molto diversa: «Nessun giornalista ha sottolineato la portata storica della sostituzione del capo di gabinetto all’Economia così come del ragioniere generale dello Stato. E pochi si sono accorti della bassa età media dei tre nuovi vicesegretari generali di Palazzo Chigi. Stiamo cambiando tutti i vertici che contano, sono cose di sostanza». Vero, ma ci sarà pure una ragione se intanto i sondaggi registrano concordi un bassissimo indice di gradimento nei confronti di questa esperienza inciucista.
Le logiche dell’alta burocrazia
Spesse dune di sabbia stanno intanto ricoprendo la casa di vetro che era stata scelta come simbolo dell’Operazione Trasparenza voluta cinque anni or sono dal Ministro Renato Brunetta. Con l’andata al potere dei tecnici alla fine del 2011, la pubblicazione dei dati sull’assenteismo dei pubblici dipendenti e sulle consulenze decise dalle amministrazioni centrali e periferiche non è stata più considerata una priorità. E nemmeno il nuovo governo sta dimostrando di avere una gran fretta nell’ottemperare alle disposizioni sulla trasparenza raccolte nel decreto legislativo n. 33 voluto da Filippo Patroni Griffi e indotto dalla legge anticorruzione n. 190 del 2012.
Con la sola eccezione di Enzo Moavero Milanesi, nessun ministro e sottosegretario ha infatti finora pubblicato online la situazione patrimoniale propria, del coniuge e dei parenti entro il secondo grado. Nei siti dei Ministeri mancano inoltre i curricula e le retribuzioni annue lorde dei dirigenti degli uffici di diretta collaborazione (capi di gabinetto, capi degli uffici legislativi, consiglieri diplomatici, capi segreterie e portavoce) nonché l’aggiornamento puntuale dei tassi di assenza e presenza dei dipendenti pubblici per livello dirigenziale.
Non è escluso che in alcuni casi questi dati verranno pubblicati un minuto dopo che la Corte dei Conti avrà registrato i decreti di nomina degli interessati. Ma intanto resta l’impressione di avere a che fare con una squadra ancora incompleta, impacciata, che si muove con lentezza e che troppo sta cedendo alle logiche e ai ritmi sempiterni dell’alta burocrazia.