Un aumento dei salari in Italia è “fisiologico”, ha detto negli scorsi giorni il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta. E in effetti che gli stipendi debbano crescere è inevitabile, considerando che circa la metà dei contratti collettivi nazionali sono scaduti. In alcuni casi anche da molti anni. I rinnovi procedono a rilento, confermando ancora una volta che la contrattazione collettiva non funziona come dovrebbe, al contrario di quanto sostiene la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, secondo cui è l’unica soluzione, al contrario del salario minimo.
I dati parlano chiaro. Partiamo da quelli dell’Istat di dicembre: considerando i 73 accordi più rappresentativi, ben 29 sono in attesa di un rinnovo, lasciando scoperti il 52,4% dei dipendenti pubblici e privati. Secondo i calcoli del Cnel, che considerano tutti i 976 contratti, le cose vanno ancora peggio: a luglio quelli scaduti erano 553, il 57% del totale, per quasi 8 milioni dei lavoratori solo nel comparto privato.
Nel frattempo qualche nuova intesa c’è anche stata, ma parliamo di numeri esigui di fronte alla mole di contratti scaduti. Pensiamo soltanto che l’attesa media per un rinnovo è ormai di 32 mesi, quasi tre anni dalla scadenza.
I contratti scaduti e gli stipendi fermi al palo
Ci sono alcuni esempi lampanti, che evidenziano come la situazione sia cristallizzata da anni e gli stipendi siano gli stessi del pre-pandemia e pre-inflazione, in pratica in un mondo completamente diverso. Parliamo, per esempio, del contratto del commercio che riguarda più di 3 milioni di lavoratori: è scaduto da fine 2019, più di quattro anni fa. E per ora è arrivata solo una tantum di 350 euro e un aumento di 30 euro lordi in busta paga. I negoziati sono ancora in alto mare.
Nel settore pubblico tutti i contratti sono scaduti. A metà del 2022, giusto per dare un’idea, è stato firmato l’accordo per il periodo 2019-2021. Quindi a triennio finito. Ma la crescita delle buste paghe, almeno, è maggiore che nel privato. Inoltre a dicembre è arrivata l’erogazione anticipata dell’indennità di vacanza: 70 euro lordi al mese.
Tornando sul privato, le situazioni sono variegate: nell’industria solo il 7,5% dei contratti è in attesa di rinnovo, contro il 63% dei servizi. Tra l’altro si può vedere che l’aumento medio degli stipendi nella manifattura a dicembre del 2023, rispetto a un anno prima, è stato del 4,5%. Nei servizi, invece, parliamo solamente di un +2,4%. Recuperare l’inflazione, di questo passo, è praticamente impossibile. E a poco serve l’appello di Panetta, secondo cui il rischio di una spirale salari-inflazione non c’è e aumentare gli stipendi ora è necessario per rilanciare i consumi. Le paghe restano da fame e i consumi non ripartono. Ma per il governo l’unica strada resta quella della contrattazione collettiva.