Si avvicina la giornata internazionale contro la violenza sulle donne ed è giusto riflettere su ciò che resta ogni qualvolta una donna viene uccisa. Certamente una dolorosa ferita per una società che non ha saputo cogliere i prodromi di quelle che solitamente sono delle “morti annunciate” e che in molti casi lasciano una promessa di futuro da proteggere e coltivare: dei figli, altrimenti detti “orfani speciali”.
Il tema degli orfani dei femminicidi appartiene alla politica tutta. Cosa farà il governo Meloni al riguardo?
In questi giorni un pensiero deve andare anche a loro che non possono essere considerati come gli effetti collaterali di un tragico evento che vede protagoniste le loro madri, ma che sono vite il cui pieno riconoscimento della loro dignità deve essere il cuore di una efficace azione politica e sociale. Sono circa 2.100 e la maggior parte è fatta di minorenni che oltre alla perdita della figura materna vive anche quella dell’altro genitore, che macchiandosi le mani del reato o sconta la propria condanna o si toglie la vita.
Nel 2018 una legge che ci ha reso i “primi della classe” in Europa ha finalmente riconosciuto come degna di tutela questa categoria di “invisibili” e di coloro che sono chiamati a prendersene cura non sempre disponendo degli strumenti necessari da quelli materiali a quelli culturali. Garantire un pieno sostegno a un orfano di femminicidio vuol dire avere a che fare con la vulnerabilità estrema di una persona la cui identità è ancora in formazione.
Il supporto psicologico si rivela così necessario non solo per il minore, ma anche per quelle figure che “prendendolo in carico” – trattasi frequentemente di familiari come nonni o zii – non sanno orientarsi in una relazione tanto complessa. La legge, che nel deserto normativo dei diritti degli orfani di femminicidio è stata un passaggio storico, è sufficiente a tutelare coloro per i quali è stata varata?
L’impressione è che sia stato il calcio di inizio di un processo che ha mostrato sin da subito la sua inadeguatezza burocratica: le lungaggini e le tortuosità che caratterizzano l’iter di accesso alle risorse stanziate dallo Stato decreta in numerosi casi l’inefficacia del provvedimento lasciando sole queste persone nel momento di massima delicatezza. In assenza dei decreti attuativi della legge 4 del 2018, a distanza di due anni si è resa necessaria l’istituzione del “Fondo per gli orfani di femminicidio” che ha visto lo Stato stanziare 15 milioni di euro con la finalità di finanziare formazione e inserimento nel mondo lavorativo, spese mediche e borse di studio assieme a una maggiorata rideterminazione degli importi degli indennizzi per le vittime di reati intenzionali violenti e che sale quando l’omicidio è commesso dal coniuge.
L’approvazione del Codice Rosso ha inoltre determinato l’introduzione di un nuovo indennizzo, pari a 25.000 euro, connesso al reato di deformazione del viso, fino a qualche anno fa non contemplato dalla legge. Per un figlio che perde una madre non c’è risarcimento economico che tenga ma per una persona che deve continuare a vivere, non essendo ancora in grado di provvedere autonomamente a se stessa, una rete di protezione si rende necessaria anche per ciò che riguarda la mera materialità dell’esistenza nel pieno rispetto di diritti della persona come quello allo studio, alla salute e al lavoro. Gli ingranaggi della macchina statale non sembrano però ben oleati, così come è apparso chiaramente lo scorso aprile quando il tema è finito sul tavolo dell’allora Ministro degli Interni Luciana Lamorgese.
Tra i punti cruciali emersi dal dialogo tra la rete nazionale e governo, si sono visti ancora una volta il prioritario snellimento della burocrazia, la necessità di una anagrafe e di un osservatorio sugli orfani così come il coordinamento interministeriale sul tema affinché vi sia un protocollo da adottare omogeneamente a livello nazionale a partire dalle prime ore dell’omicidio. Nelle testimonianze degli “orfani speciali” ricorre spesso il tema dell’abbandono e del disorientamento che segue il tragico evento, di qui la centralità di un intervento che sia tempestivo e qualificato, e che risponda a delle precise “linee guida” che ancora mancano.
Un tema come questo non ha colore partitico e appartiene alla politica tutta che è chiamata ad occuparsene lavorando sulle criticità di una legge che ci ha visto un passo avanti rispetto agli altri partner europei e che però rischia di restare in molti casi “lettera morta” se non viene migliorata. Cosa farà il governo Meloni a riguardo? Ancora non ci è dato saperlo, ma il 25 Novembre è alle porte e al di là delle frasi di circostanza sarebbe una buona occasione per dircelo.