Fresca di stampa in Italia, la conferenza che tenne il famoso filosofo francofortese Theodor Adorno il 6 aprile del ’67 all’università di Vienna, intitolata Aspetti del nuovo radicalismo di destra (Marsilio, pagg. 90, euro 12), mantiene tutta la sua vibrante attualità e una densità concettuale intramontabile. La metodologia psicosociale per definire le configurazioni profonde di derive fasciste sempre prossime alla politica di allora come alla nostra, è nel testo di fondamentale importanza. Due gli snodi alla base di un collettivismo deviato e blindato dal culto dell’autorità: un allarmante processo di concentrazione del capitale, e un progressivo declassamento delle forze borghesi che vedono all’improvviso depauperarsi il loro prestigio sociale e che optano per la rinuncia a un’analisi complessa del reale a vantaggio di capri espiatori su cui accanirsi.
Gli ebrei decenni fa, ma ancora gli intellettuali, i marxisti, i marginali di altre etnie che premono alle porte del benessere occidentale, a tutt’oggi. Diremmo alla Eco, una Destra “eterna” e sempre riproponibile. è così che questo pensiero nero, intinto di catastrofismo e di visionarietà di un mondo al tramonto, porta al costituirsi di movimenti che potrebbero essere indicati “come le piaghe, le cicatrici di una democrazia che non è ancora pienamente all’altezza del proprio concetto”. è così, soprattutto, che le masse non scompaiono, ma anzi, sospinte da una “prassi a-concettuale”, si adagiano in comode retoriche, vengono suggestionate da “trucchi standardizzati piuttosto miseri e inconsistenti”, travolte da tensioni e affettività occasionali, in pratica imbavagliate da una finta rivoluzione, da una sorta di cambiamento retroattivo che non capisce nulla del presente, non fa evolvere la comunità, ma si autocompiace di verbosità senza fine e di “astrusità degli scopi”, dentro una “straordinaria perfezione dei mezzi” che rappresentano a loro volta il riprodursi di una macchina amministrativa, mediatica ed emotiva che non sbaglierà un colpo.
L’individuo spodestato prima dalle sue certezze di classe e di censo, e poi irretito dalle magnifiche revanche promesse da un potere vanaglorioso e centralista, sostituirà il proprio Io con un “Grande Sè arcaico” per dirla alla Breuer, fatto di uno spirito di gruppo che non ha più rispetto di niente e di nessuno. Perché, di fatto, non si colloca in nessun territorio realmente comune, realmente politico e condiviso. è vero, ricorda in una bella postfazione lo storico Volker Weiss, che i tempi sono cambiati, ma quegli uomini potenzialmente “superflui o disoccupati” di cui parla Adorno sono sempre sulla soglia della Storia, e la “gigantesca truffa psicologica” dei fascismi sempre pronta a circuirli con stati di eccezione devastanti ma vissuti come salvifici.