Cybercrime, virus e malware, si salvi chi può. Non c’è pace per l’Italia, così come fotografata dal rapporto Clusit che annualmente valuta la sicurezza ITC del bel Paese, dove continua inesorabile la crescita delle minacce online a fronte di bassi investimenti e scarsi risultati nella prevenzione. I primi sei mesi del 2018 sono stati i peggiori di sempre per quanto riguarda gli attacchi informatici e nulla fa pensare che il trend possa invertirsi. Anzi, nei restanti mesi e con questo ritmo, quello in corso verrà ricordato come l’annus horribilis per l’Italia del digitale. Può sembrare un argomento tecnico e forse distante dal cittadino comune ma il tema della sicurezza sul web non lo è affatto. Subire cyberattacchi, infatti, significa causare danni all’economia che poi si ripercuotono sulla collettività e questo emerge a chiare lettere dalle 274 pagine della ricerca Clusit. Secondo lo studio e prendendo in considerazione dei valori stimati, questo perché in Italia non sono disponibili dati ufficiali per quella che è ormai una carenza storica, il costo per l’economia derivante dall’attività dei pirati informatici, in altre parole degli hacker, è stimabile in non meno di 10 miliardi di euro. Un fiume di denaro che, per l’esattezza, corrisponde ad un quarto della manovra finanziaria attualmente in discussione dall’Esecutivo. Peccato che a difendere questo vero e proprio tesoro che annualmente il bel Paese perde nei meandri più nascosti del web, tra l’altro finendo per arricchire pirati, hacker e organizzazioni criminali che proprio online hanno scoperto una nuova El Dorado, vengano stanziati solo bruscolini. Gli investimenti italiani nella prevenzione sono fermi a circa 1 miliardo di euro. Una sproporzione che spiana la strada ai malintenzionati e che produce anche effetti a dir poco paradossali. Con il progredire della tecnologia, sarebbe stato lecito aspettarsi anche uno sviluppo dei software malevoli ma così non è stato. Piuttosto è stato notato che il 40% del totale degli attacchi viene effettuato con malware semplici, cioè software dannosi prodotti industrialmente e a costi sempre minori per chi li sviluppa, considerati banali dagli esperti. Dato che segna, rispetto all’anno precedente, un +22% e questo ad ulteriore riprova di come le contromisure messe in campo dagli italiani sono men che modeste.
Pirati all’attacco – Il primo semestre dell’anno si è chiuso in modo disastroso. Gli attacchi gravi sono già 730 e nel mese di febbraio hanno registrato un preoccupante picco di 139 casi, facendo segnare all’industria del cybercrime un deciso +31% rispetto al semestre precedente. A crescere maggiormente sono stati i cosiddetti multiple targets cioè aggressioni telematiche compiute da più hacker che insieme e in parallelo assaltano banche, enti e organizzazioni. Male anche sul versante dei cryptominers, software malevoli che generano cripto monete all’insaputa dell’utente per poi trasferirle nel portafoglio del pirata informatico, che nel 2016 erano quasi inesistenti mentre ora sono arrivati a coprire il 22% dei cosiddetti attacchi semplici.