Manca poco ormai – il primo dicembre – per conoscere dal Guardasigilli Carlo Nordio, che le illustrerà in Parlamento, le linee programmatiche del governo sulla Giustizia. Ma se le dichiarazioni del suo vice, l’azzurro Francesco Paolo Sisto (nella foto), possono considerarsi un antipasto di quello che Nordio annuncerà stiamo freschi.
Il viceministro della Giustizia, Sisto, annuncia nuovi bavagli alla stampa. Così l’Italia corre. Ma indietro e di decenni
Dal palco dell’Anci l’esponente di Forza Italia ha riavvolto il nastro e ci ha fatto tornare indietro agli anni in cui a Palazzo Chigi spadroneggiava Silvio Berlusconi. “Combattere il processo mediatico – ha detto – sarà uno degli scopi di questa fase del governo. Vogliamo evitare che ci sia un processo parallelo, in cui la condanna più grave non sia quella delle aule giudiziarie, ma quella della stampa e dei mass media da cui non c’è difesa. Questo è uno degli scopi che questa fase del governo assolutamente si propone in un’ottica di garantismo che non è sterile, ma effettivo”.
Secondo il vice di Nordio il Paese vive nel “timore di essere indagati in contrasto con l’articolo 27 della Costituzione, la presunzione di non colpevolezza fa sì che in questo Paese possa essere considerato colpevole soltanto chi è stato condannato con sentenza definitiva, ma così non è: per i pubblici amministratori una informazione di garanzia costituisce un elemento di condanna e questo è un dato che va registrato con molta chiarezza e molta franchezza da cui dobbiamo prendere le mosse, il processo è già pena.
Questa presunzione di colpevolezza è un’inversione senza difesa perché non c’è possibilità di difendersi da un marchio unilaterale di un pubblico ministero”. Cosa intenda Sisto non è bene specificato ma è noto che un bavaglio per limitare il cosiddetto “processo mediatico” è stato già approvato dal governo di Mario Draghi e dalla guardasigilli Marta Cartabia, recependo la direttiva europea sulla presunzione d’innocenza.
Appena qualche giorno fa, l’8 novembre, un gruppo di cronisti ha protestato di fronte ai tribunali di Roma e di altre città del Lazio contro il decreto Cartabia, entrato in vigore esattamente un anno fa, che impone potenti restrizioni all’informazione giudiziaria, prevedendo che magistrati e forze dell’ordine non possano più fornire notizie sulle indagini in corso al di fuori di cornici formali (e preferibilmente solo per iscritto), nonché sempre dietro autorizzazione del procuratore capo.
Ogni ufficio ha applicato le nuove norme a suo modo: tra le più severe c’è proprio la Procura della Capitale, con il nuovo procuratore Francesco Lo Voi che appena insediato ha emanato una direttiva per porre un freno alle richieste della polizia giudiziaria di emettere comunicati stampa. “Questo provvedimento viene utilizzato in maniera strumentale per non far conoscere i fatti all’opinione pubblica.
È stata utilizzata la direttiva europea per provare a regolare i conti con la stampa”, è la denuncia di Raffaele Lorusso, segretario generale della Fnsi (Federazione della stampa italiana). Wikimafia dichiarò che con il bavaglio Cartabia i mafiosi avevano di che festeggiare. “Quando io arresto delle persone, posso dire solo che ho arrestato alcuni presunti innocenti: lo Stato, dunque, non può spiegare all’opinione pubblica cosa è successo sul territorio, perché alcune persone sono state arrestate. L’indagato, invece, può fare una conferenza stampa e dire quello che vuole”, ha spiegato il capo della Procura di Catanzaro, Nicola Gratteri. Sisto col suo annuncio pensava a un bavaglio ancora più stringente? Staremo a vedere.
Ma non è finita. Perché il viceministro della Giustizia dichiara guerra anche alle norme sull’abuso d’ufficio e alla legge Severino. “Dobbiamo liberare gli amministratori pubblici da questa situazione”, dice a proposito della prima questione. “Bisogna intervenire sull’art. 323, evitare che sia uno spauracchio. È un reato inutile, anzi dannoso”.
Secondo l’esponente di Forza Italia “non tutto deve essere sanzionato dal processo penale, da un panpenalismo che non risolve e gli amministratori pubblici devono liberarsi dal timore di firmare gli atti”. Sisto dichiara di non sapere se sarà possibile un intervento di tipo abolitivo o modificativo ma si potrebbe pensare “a intervenire sull’abuso d’ufficio di vantaggio, quello è un momento in cui il legislatore deve intervenire decisamente – ha concluso -. Si potrebbe pensare come ipotesi a un intervento per lasciare l’abuso di danno, queste sono ipotesi allo studio del ministero”.
Sempre all’Anci anche Giorgia Meloni è intervenuta sull’abuso d’ufficio parlando di “paura della firma” che “inchioda la nazione”. “Dobbiamo mettere i sindaci e gli amministratori in condizione di firmare serenamente, di sapere se la firma costituisce o meno un reato: non si reclamano impunità ma regole certe sul perimetro della legalità – ha spiegato la premier – non si tratta di salvaguardare i furbi ma di tutelare gli onesti che vogliono fare bene il proprio dovere. Il governo si metterà al lavoro per modificare alcuni reati contro la Pubblica amministrazione, a partire dall’abuso di ufficio”.
“La Legge Severino – ha poi attaccato Sisto – ingiustamente penalizza pubblici amministratori condannati con sentenza di primo grado e che devono subire conseguenze prima che la sentenza diventi definitiva e questo vale anche per l’abuso d’ufficio, un reato scivoloso non per come è scritto, ma per come è giudicato”. Il riferimento è per quella parte della Severino che impone la sospensione dalla carica per sindaci e governatori condannati in primo grado.
Una modifica nella norma era prevista dai sei referendum sulla giustizia promossi dalla Lega di Matteo Salvini e dai Radicali, che proponevano di abrogare il divieto di ricandidatura per i politici condannati in via definitiva. Quel quesito, però, non fu appoggiato da Meloni, che decise di sostenerne soltanto quattro su sei. I referendum di Salvini e i Radicali, ricordiamo, vennero bocciati dal voto. All’epoca Meloni disse che la totale abolizione della legge Severino sarebbe stato “un passo indietro nella lotta alla corruzione e rischierebbe di dare il potere ad alcuni magistrati di scegliere quali politici condannati far ricandidare e quali interdire dai pubblici uffici”.