Chissà se il ministro della Giustizia Carlo Nordio riterrà “interferenze” anche le parole del procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo (nella foto), per di più audito dalla Commissione parlamentare antimafia, mentre smonta la narrazione del governo sull’abolizione del reato di abuso d’ufficio prevista nel disegno di legge sulla giustizia preparato dal governo.
“Vi sono profili di condotte abusive di pubblici ufficiali finalizzate al procacciamento di vantaggi ingiusti che normalmente trovano applicazioni in contesti investigativi mirati alla ricostruzione di complessi interessi mafiosi, condotte che hanno avuto contestazioni anche nel campo della distribuzione commerciale“, spiega il procuratore antimafia, confermando le preoccupazioni di chi la mafia la combatte sul campo.
Il concetto l’avevano ribadito prima di lui il procuratore di Roma Francesco Lo Voi e il vice procuratore europeo Danilo Ceccarelli, quando il disegno di legge d Nordio ancora non esisteva e la discussione verteva su due proposte molto simili di Azione e Forza Italia. Sulla stessa linea è anche il procuratore di Perugia, ex presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, che aveva spiegato come “la principale utilità” del reato di abuso d’ufficio a livello di indagini “è un’altra e sta nella natura di “reato spia” della corruzione”. Anzi il procuratore nazionale antimafia ha ricordato come sul reato di abuso d’ufficio esistano “obblighi assunti dall’Italia in sede internazionale” di cui il Parlamento dovrebbe tenere conto.
Il Procuratore nazionale antimafia Melilli, sentito in Parlamento, boccia la riforma del ministro della Giustizia
Ma non solo di questo ha parlato Melillo che in audizione ha toccato i nervi scoperti della lotta al crimine organizzato. C’è innanzitutto il tema delle mafie integrate per gestire il traffico internazionale di droga. “Le differenze tra organizzazioni mafiose italiane esistono e sono ancora molto importanti” – spiega Melillo – ma c’è “il rischio di perdere di vista i processi di integrazione nella loro dimensione operativa. Non vi è indagine significativa che riguarda la proiezione transnazionale del crimine organizzato che non riveli queste forme di integrazione”.
Le dimensioni sono oggi “transnazionali” su tutti i “tavoli condivisi di comuni interessi speculativi in vari settori economici”, spiega il procuratore: “come ho detto esiste una sorta di Opec degli stupefacenti, che stabilisce i prezzi e le ripartizioni verso Europa o Sudamerica, che riunisce i più grandi cartelli criminali. E le piazze di spaccio costituiscono una sorta di bancomat per le organizzazioni che le gestiscono”. Anche i soldi sono più difficili da individuare. Melillo ha spiegato come “i cambisti, soggetti che trafficano denaro, assicurano con reti cibernetiche la disponibilità di grandi somme di denaro preventivamente piazzati in determinati Stati.
In tal mondo il denaro non si sposta e sfugge al controllo antiriciclaggio. Anni fa le transazioni comportavano spesa del 15% mentre adesso non hanno costi visto che il denaro non si sposta”. Ciò che si sposta tranquillamente sono invece i quintali di droga, anche nei porti italiani. Secondo il procuratore “ci sono molti elementi di allarme”, come ad esempio al porto di Gioia Tauro che “per quanto sia migliorata la capacità di controllo dei flussi di merce”, resta un hub importante del traffico di droga”.
Tra i campi in cui l’Italia è in ritardo secondo Melillo c’è anche la cybersecurity: “L’usuale visione del cybercrime come fenomeno criminale separato dalle strutture criminali più – dice il procuratore – pericolose è incapace di spiegare granché”. Le reti cibernetiche sono un cardine organizzativo comune sia delle reti mafiose che delle reti terroristiche. Ne risulta quindi “tutta la dimensione di una sfida sul versante della sicurezza cibernetica rispetto alla quale siamo in grave ritardo”.
In più “nello statuto normativo dell’agenzia per la sicurezza cibernetica non vi sia alcun riferimento alle competenze dell’autorità giudiziaria” e questo, secondo il capo della Procura nazionale antimafia pone un serio problema di coordinamento delle competenze. Il predecessore di Melillo alla Procura nazionale antimafia ora deputato 5 Stelle e vicepresidente della Commissione antimafia Federico Cafiero De Raho ha sottolineato anche come non sia ancora “partita la Banca dati degli appalti pubblici, un mezzo indispensabile per mettere al riparo dalle mafie i capitali del Pnrr.
Bisogna avviarla quanto prima per mettere sotto un monitoraggio diretto le procedure avviate da tutte le stazioni appaltanti, inclusi i Comuni”, spiega De Raho. Tra le stoccate di Melillo c’è anche il “caporalato” come “forma di gestione richiesta dalle imprese agricole per abbattere i costi” e il bonus edilizio su cui il sistema ha “rinunciato ad ogni anticorpo”: “correzioni sono state fatte ma ormai era tardi e penso siamo ancora lontano dal calcolare l’entità del buco per l’uso criminale fatto di queste risorse”, ha spiegato il procuratore.