Un pranzo di Pasqua con la famiglia è stato fatale a Giuseppe Calvaruso, ritenuto capo del mandamento mafioso palermitano di Pagliarelli. Da tempo si era trasferito in Brasile ed era tornato in città per i giorni di festa per poi partire per l’America. I carabinieri del comando provinciale, nel corso dell’operazione Brevis, lo hanno fermato a Palermo mentre era con la sua famiglia per festeggiare la Pasqua.
Giuseppe Calvaruso: il boss mafioso tradito dal pranzo di Pasqua
Con lui sono finiti in manette Giovanni Caruso, 50 anni, Silvestre Maniscalco, 41 anni, Francesco Paolo Bagnasco, 44 anni, Giovanni Spanò, 59 anni, accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, lesioni personali, sequestro di persona, fittizia intestazione di beni, tutti reati aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose. Il provvedimento è stato emesso dai pm Federica La Chioma e Dario Scaletta. Coordinati dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo.
Per i carabinieri, Calvaruso sarebbe diventato il reggente del “mandamento” mafioso di Pagliarelli dopo l’arresto del boss Settimo Mineo, finito in cella due anni fa. Calvaruso da qualche tempo si era trasferito in Brasile delegando ai suoi fedelissimi la gestione gli affari delle “famiglie” a lui subordinate. Il suo diretto referente, durante la permanenza in Brasile, sarebbe stato Giovanni Caruso.
Prima di lasciare l’Italia, il capomafia avrebbe mantenuto, attraverso riunioni e incontri anche in luoghi riservati, un costante collegamento con i vertici dei mandamenti mafiosi di Porta Nuova, Noce, Villabate, Belmonte Mezzagno per la trattazione di affari. Nel ruolo di capo avrebbe risolto le controversie fra gli “affiliati”, assicurato “l’ordine pubblico” sul territorio, ad esempio prendendo parte a un violento pestaggio agli autori di alcune rapine non autorizzate da Cosa nostra.
L’arresto di Giuseppe Calvaruso a Palermo
Come emerso in un dialogo intercettato con Caruso, Calvaruso avrebbe assicurato il mantenimento in carcere dei detenuti appartenenti alle famiglie mafiose del mandamento. E avrebbe gestito, grazie a prestanome, il controllo di attività economiche dentro e fuori il territorio di sua competenza. Il capo aveva accumulato ingenti capitali che avrebbe reinvestito nel settore edile e della ristorazione. Emerge dall’indagine che ha portato all’arresto del boss. Per evitare il sequestro dei beni avrebbe creato una fitta rete di prestanomi a lui fedeli per cercare di tutelare il suo patrimonio.
I militari parlano di “notevole abitudine imprenditoriale del capo mandamento” che andava a caccia di flussi di capitali provenienti da investitori esteri. In particolare Calvaruso avrebbe fatto affari con un cittadino di Singapore interessato a investire grossi capitali nel settore edile e turistico-alberghiero in Sicilia. L’inchiesta ha svelato anche una serie di estorsioni finalizzate a costringere i proprietari di immobili in ristrutturazione a rivolgersi per i lavori alle ditte edili di fatto di proprietà di Calvaruso.
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Stava per ritirare i bagagli
Calvaruso era in attesa di ritirare la valigia al nastro bagagli. Sono emersi diversi episodi riguardanti il sistematico ricorso di commercianti e imprenditori per ottenere autorizzazioni all’apertura di attività commerciali (una sorta di “amministrazione mafiosa” o risoluzioni di controversie (la “giurisdizione mafiosa”). La famiglia mafiosa di Pagliarelli era infatti investita, fra le altre cose, del compito di individuare e punire gli autori di più rapine ai danno di un esercizio commerciale; di trovare e restituire ai legittimi proprietari un’autovettura rubata; di autorizzare l’apertura di nuovi esercizi pubblici.
In particolare il titolare di una rivendita di detersivi, a seguito di due rapine consumate nell’arco di cinque giorni, si era rivolto, entrambe le volte, agli uomini di Cosa nostra per identificare i responsabili delle rapine e per riappropriarsi delle somme di denaro sottrattegli. L’imprenditore ha interessato della questione Giovanni Caruso (consegnandogli anche le riprese video della rapina), ritenendolo il referente sul territorio per conto di Cosa nostra.