L’emergenza pandemica mostra la vulnerabilità dell’uomo dinanzi a un nemico invisibile e la natura illusoria della concezione che la politica ha di se stessa, ovvero di poter dirimere ogni questione con un sistema di pesi e contrappesi che renda sempre possibile una negoziazione. Solo gli ingenui ignorano la rilevanza della mediazione tra forze politiche eppure pare necessario sottolineare come questo abile esercizio del compromesso non possa essere applicato a tutto.
DIAMOCI UNA REGOLATA. Sul tavolo di una trattativa, ad esempio, non possono mai finire i diritti dei bambini perché questi devono essere riconosciuti e difesi all’unanimità da tutti i soggetti coinvolti. Sappiamo però che in queste ore si discute tra le varie misure di contenimento del virus, quella di un intervento scolastico sulle quarantene che veda – in un tipico meccanismo di “ricompensa e sanzione” che riaccende echi pavloviani – premiati i bambini vaccinati e puniti quelli non immunizzati.
Come? Consentendo ai primi, in caso di due positivi in classe, di continuare a frequentare la scuola in presenza e imponendo ai secondi di restare confinati in casa a seguire le lezioni attraverso un computer (se ce l’hanno) e con una connessione non sempre ottimale, in quel meccanismo infernale che è la did (didattica integrata, ovvero un mix tra alunni in presenza e da remoto con gli insegnanti, per quanto eccellenti e dunque lodevoli, in una comprensibilissima crisi di nervi). Ricordando come il vaccino sia l’unica arma di contrasto al virus e quanto i no vax abbiano delle ragioni che la Ragione non comprende, non vedo perché le colpe dei padri debbano ricadere sui figli.
I bambini non devono essere toccati e hanno diritto, in un’età delicatissima in cui la discriminazione può essere letale rispetto alla definizione di una personalità equilibrata, a essere protetti e trattati dallo Stato e dalla società in modo assolutamente egualitario. La decisione di non essere vaccinati non è stata assunta da loro, ma da chi ritiene – pur sbagliando – di proteggerli con una scelta che si nutre di ideologia e non di evidenze scientifiche.
Ma perché colpire loro? Se non si ha la forza di introdurre l’obbligo vaccinale per i minori, che di vaccinazioni obbligatorie pure ne fanno già diverse dall’entrata in vigore della Legge Lorenzin (perché un’altra no? Cosa c’è che non va?), allora è più sensato immaginare di continuare con una didattica da remoto per tutti in caso di quarantena: vaccinati e non.
Tanto più che la socialità, come insigni psicologi dell’età evolutiva certificano, in fase scolastica è centrale quanto l’istruzione che il bambino riceve e fa parte del pacchetto di input formativi che provenendo da un ambiente altro rispetto alla famiglia concorrono allo sviluppo dell’autonomia della persona. E allora come può essere presa anche solo in considerazione la proposta che le Regioni muovono al governo?
La speranza è che il Consiglio dei Ministri previsto oggi, 5 Gennaio, oltre a discutere dell’estensione dell’obbligo di Super Green Pass sui luoghi di lavoro possa valutare ben altre ipotesi per contrastare il covid puntando a incentivare la campagna di vaccinazione dei bambini. Ricordiamo che nell’ultima settimana abbiamo avuto il triste dato di un +46% di ricoveri pediatrici in una l (trattasi di ospedalizzazioni e non di terapie intensive) e il 58% dei piccoli degenti è under 5. Questo deve spingere a potenziare l’operazione di sensibilizzazione alla vaccinazione destinandola a quella parte di persone, in taluni casi genitori di minori in età scolastica, che ancora nutrono dubbi.
Ciò può accadere solo utilizzando al meglio i gangli della nostra rete sanitaria, ovvero: medici di base, pediatri. Per gli altri, quelli che finiscono in ospedale e rifiutano di essere anestetizzati per paura che gli venga inoculato il vaccino, eviterei anche di spendere una sola parola. Anche perché, come diceva Thomas Paine: “discutere con una persona che ha sospeso l’uso della ragione è come somministrare una medicina a un morto”. Morto.