Ahi maledetta Commissione parlamentare Antimafia, foriera di tanti dispiaceri! Mentre la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro alla Giustizia Carlo Nordio sminuiscono qualsiasi osservazione sulla preannunciata riforma della giustizia come “male lingue” il procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia audito dalla commissione presieduta dalla melonianissima presidente Chiara Colosimo (Fratelli d’Italia) smonta pezzo per pezzo la narrazione del governo.
La relazione di De Lucia
Si comincia con le odiosissime intercettazioni, strumento di indagine che proprio il ministro Nordio aveva definito poco utile perché, a suo dire, “i mafiosi non parlano al telefono”. De Lucia spiega che “le intercettazioni sono, nelle loro varie forme, uno strumento decisivo nella lotta alla criminalità organizzata. Perché ‘organizzazione’ vuol dire comunicazione, i mafiosi parlano tra di loro ed è indispensabile cercare di entrare all’interno dell’organizzazione ascoltando le loro comunicazioni”.
Anzi, secondo il procuratore di Palermo – che di mafiosi ne “ascolta” parecchi per mestiere – più che occuparsi di svilire le intercettazioni bisognerebbe preoccuparsi del fatto che “in questo momento – dice De Lucia – il meccanismo delle intercettazioni ci pone in ritardo rispetto alle forme di comunicazione che usano le mafie. Le mafie usano piattaforme criptate, rispetto alle quali noi siamo in ritardo. Quindi c’è un problema tecnologico ancor prima che normativo”.
Non solo: “L’importanza delle intercettazioni in tema di criminalità organizzata è tale che non posso immaginare una riforma in senso limitativo di questo strumento”, spiega De Lucia. Con buona pace di chi ne ha parlato senza la benché minima contezza del fenomeno mafioso. Il procuratore ha ribadito che “tutto quello che è stato fatto contro le mafia – ha aggiunto – è stato fatto con l’uso e il rispetto delle leggi”, a proposito degli “abusi” che vengono sventolati ogni volta.
Anche sui collaboratori di giustizia (volgarmente detti pentiti) il procuratore De Lucia ci tiene a precisare che sono “determinanti” per l’azione antimafiosa. Due elementi elenca De Lucia: collaboratori di giustizia e intercettazioni. A chi fa comodo indebolire questi due strumenti è presto detto: ai mafiosi. Il procuratore di Palermo, rispondendo a una domanda, ha anche spiegato che i “trojan” sono uno strumento “invasivo” ma irrinunciabile “specie in una situazione in cui il fenomeno della corruzione si manifesta come davvero pervasivo e importante”.
Il reato di concorso esterno
De Lucia è intervenuto anche sul reato di concorso esterno, che – sempre per bocca del ministro Nordio – è tornato in discussione: “Lo strumento del concorso esterno in associazione mafiosa, siccome è oggettivamente delicato, può essere oggetto di una riflessione” ma “è assai difficile immaginare di non ricorrere più a uno strumento che esiste dal 1930 e che si è rivelato uno strumento utile e corretto per colpire disvalori”, risponde De Lucia.
“È possibile rivisitare l’area applicativa ma solo per individuare forme più tipizzate. Quanto ad altre forme di riesame e all’abolizione tout court dell’istituto mi pare difficile”, dice De Lucia. Saranno scontenti coloro che vedevano all’orizzonte addirittura un’abolizione. Al procuratore di Palermo è toccato pure il compito di ricordare che “Cosa Nostra ora si è indebolita, ma è tutt’altro che sconfitta, e anzi in questo momento di debolezza cerca di ristrutturarsi per mezzo, tra le altre cose, della ricerca di nuovi capitali”. Con una precisazione importante: Messina Denaro non era “il capo” di Cosa nostra, nonostante sia stato “mitizzato”. Anche perché la mafia ha bisogno di un vertice, più di un capo.