Dario Franceschini, ministro della Cultura di formazione democristiana, questa volta è caduto da solo in una trappola che lascia basiti. Infatti ieri ha pubblicato sul suo profilo Facebook un post in cui ha scritto che ha chiuso cinema e teatri “per ridurre la mobilità”. Una spiegazione, anzi una excusatio non petita (accusatio manifesta) clamorosa che fa seguito alla grandinata di mail e di post di protesta che hanno giustamente sommerso l’ex margheritino.
Una toppa, però, peggio del buco. Già nei cinema e nei teatri ci andavano quattro gatti e lui chiude per ridurre la mobilità? Oltretutto questo avviene quando la mattina e la sera ci sono flussi mastodontici di gente che si sposta in mezzi pubblici rigorosamente appiccicati come sardine, da far invidia a Mattia Santori e che gridano vendetta per il pericolo di contagi a valanga. Altro che cinema e teatri che già erano – come detto – desolatamente semivuoti. E questa è una vera vergogna perché chiudere i luoghi della cultura e lasciare aperti gli abbuffatoi significa fare una scelta precisa di degrado intellettuale di cui non si sentiva proprio il bisogno.
Che poi questa scelta con relativa spiegazione assai sgangherata sia data dal ministro della Cultura è veramente la ciliegina su una torta avvelenata che mette a dura prova il nostro patrimonio artistico. È come se gli svizzeri perseguitassero orologiai e produttori di cioccolato, per intenderci. Va dato merito invece a Francesco Rutelli, presidente Anica, che si è speso molto per cercare di far ripartire il comparto che già prima della crisi non se la passava bene.
Pensi alle giovani attrici e agli attori, ai registi, ai costumisti, ai tecnici e a tutto quel mondo che ruota intorno ad un teatro o a un cinema e capirà che cosa significhi per la cultura italiana questa chiusura. Se invece questa scelta bislacca è frutto di qualcun altro dica i nomi così la pubblica opinione saprà a chi attribuirla e saprà comportarsi di conseguenza alle urne, ma non ci venga a dire che lo ha fatto per “limitare la mobilità” perché è un insulto alla sua e alla nostra intelligenza.