Che il sistema previdenziale si basi sul lavoro e dunque quanto più questo è stabile, quanto più è retribuito, tanto più la nostra pensione sarà più alta, è un concetto sul quale è tornato più volte l’ex presidente dell’Inps, Pasquale Tridico.
La previsione in uno studio shock sulla previdenza. Paghe troppo basse per garantire una vecchiaia dignitosa
Il salario minimo, in tale ottica, non solo servirebbe a garantire buste paga più dignitose ma anche pensioni più eque. Oggi invece il mercato del lavoro, che il governo Meloni sta contribuendo a rendere ancora più precario – tra voucher e contratti a termine più facili, non garantisce assegni pensionistici decenti, complice anche il sistema contributivo. E la questione diventa un’emergenza sociale soprattutto per i più giovani. L’ultimo campanello d’allarme arriva da un report realizzato dal Consiglio Nazionale dei Giovani (Cng) assieme a Eures.
“La crescente precarizzazione e discontinuità lavorativa, associata a retribuzioni basse e mancanza di garanzie sociali, colpisce in particolare i giovani e le donne”, ha affermato la presidente del Cng, Maria Cristina Pisani. La questione demografica (denatalità e invecchiamento), il passaggio al sistema ‘contributivo puro’ e la struttura del mercato del lavoro (discontinuità e basse retribuzioni) mettono infatti a rischio la sostenibilità del nostro sistema pensionistico. Col risultato che i cittadini si trovano nelle condizioni di lavorare più a lungo per ricevere pensioni meno generose rispetto alle generazioni precedenti.
Il progressivo invecchiamento della popolazione e le crescenti uscite dal mercato del lavoro per vecchiaia, non hanno peraltro favorito il ricambio generazionale: al contrario la percentuale di lavoratori dipendenti under35enni (del settore privato) è passata dal 35,7% del totale nel 2011 al 31,5% nel 2021), cui è corrisposta una contrazione di circa 110 mila unità in termini assoluti; contestualmente è cresciuta l’incidenza dei lavoratori “maturi”, arrivando gli ultra45enni ad assorbire il 44,5% dei 16,2 milioni di lavoratori del settore privato.
I rischi sociali connessi al passaggio al contributivo puro appaiono immediatamente chiari considerando la variabile centrale nel processo di calcolo dell’assegno pensionistico, ovvero il livello retributivo dei giovani (da cui deriva, direttamente, il monte contributivo), a sua volta direttamente correlato alla instabilità/discontinuità del rapporto di lavoro.
Una ricerca del Cng-Eures lancia l’allarme sulle pensioni. A finire nel mirino sono soprattutto i contratti precari
Nel 2021, infatti, la retribuzione lorda media annua dei lavoratori under 35 del settore privato ammonta in Italia a 14.578 euro, un valore pari al 66,7% di quello complessivamente rilevato. Peraltro, se le retribuzioni totali hanno registrato tra il 2011 e il 2021 una crescita nominale di 1.186 euro (+5,7%), cui corrisponde tuttavia una flessione del 4,1% in termini reali, per gli under35 la crescita nominale negli ultimi dieci anni è stata di appena 102 euro, ovvero pari a +0,7% che, al netto dell’inflazione, significa una flessione dell’8,6%.
Ancora più significativo appare il dato relativo alla stabilità contrattuale e alle classi di importo delle retribuzioni: nel 2021, infatti, il 43,2% dei lavoratori under35 ha avuto una retribuzione annua inferiore a 10 mila euro. Allo stesso modo, nel 2021, soltanto un giovane su tre (33,9%) ha lavorato per l’intera annualità (17,7% tra i soli under25enni), mentre, sul fronte opposto, il 36,7% è stato retribuito per non oltre 6 mesi (ed il restante 29,5%, tra 6 e 12 mesi).
Osservando infine il tema della precarizzazione del lavoro dei giovani sotto il profilo contrattuale, si segnala come la percentuale di under35enni con contratti “atipici” (a termine, stagionali, in somministrazione, ecc.), abbia raggiunto nel 2021 il 39,9% del totale, con una crescita di oltre dieci punti percentuali rispetto al 2011, quando rappresentavano un già significativo 29,7%.
Le stime Eures sul futuro pensionistico sono state calibrate sui giovani di 35 anni, considerando le tre gestioni “private” (Dipendenti, Artigiani e Gestione separata che, complessivamente, assorbono il 92,8% dei giovani), un’età media di ingresso nel mercato del lavoro a 20,8 anni (Fonte Istat) e un periodo di discontinuità lavorativa di 15 anni (variabile a seconda delle diverse gestioni) seguito da una maggiore stabilizzazione (con 37 settimane contributive medie annue). Infine, gli importi dei futuri assegni pensionistici sono stati indicizzati ai valori del 2023, con riferimento sia al monte retributivo medio sia alla sua disaggregazione per quintili.
I trentacinquenni di oggi avrebbero diritto nel 2050, cioè all’età di 66,3 anni, ad un assegno pensionistico pari a 1.044 euro
Ebbene, in termini complessivi, emerge come i giovani trentacinquenni di oggi avrebbero diritto nel 2050, cioè all’età di 66,3 anni, ad un assegno pensionistico (indicizzato al potere d’acquisto di oggi) pari a 1.044 euro lordi (un valore equivalente a 2,1 volte l’assegno sociale), che tuttavia non consentirebbe un’uscita “anticipata” (per la quale il moltiplicatore previsto è pari a 2,8). La prima possibilità di accedere alla pensione, dunque, maturerebbe a 69,6 anni, con un importo dell’assegno di 1.236 euro lordi (1.319 per gli uomini e 1.134 per le donne), ovvero 979 euro al netto dell’Irpef. Per ottenere un assegno quanto meno “dignitoso” i giovani dovranno quindi attendere i 73,6 anni, quando l’importo della pensione dovrebbe ammontare in media a 1.561 euro lordi, ovvero 1.093 euro al netto dell’Irpef (1.134 euro per gli uomini e 1.041 per le donne).
Per i lavoratori autonomi la prima “finestra” utile per il pensionamento si aprirebbe nel 2053, a 69,6 anni, e prevederebbe un assegno pensionistico di 1.055 euro, cui corrispondono 806 euro al netto dell’Irpef. In caso di prolungamento dell’attività lavorativa fino a 73,6 anni, invece, l’importo della pensione raggiungerebbe i 1.329 euro, valore che scende a 1.000 euro mensili una volta detratta la quota di Irpef.
Se si vuole scongiurare un futuro pensionistico in povertà per i giovani lavoratori di oggi – conclude il Report – appare quindi necessario apportare dei correttivi all’impianto del “contributivo puro” o, comunque, strumenti di sostegno in itinere o ex post (contributi figurativi o pensione di garanzia).