“L’Italia tradita” titolava ieri Repubblica. Il direttore Maurizio Molinari ha vergato un editoriale dal titolo “L’Aula vittima del populismo” in cui ci fa sapere che la caduta del governo Draghi ci catapulta in una “tempesta perfetta”. Anche Massimo Franco non ha dubbi sul Corriere della Sera: “La nemesi di un populismo in declino sta portando alla caduta del governo di Mario Draghi”, scrive, avvisando che è colpa anche dell’altro “populismo quello di destra”. In prima pagina, sempre del Corriere, si scrive di un’Europa “incredula” che guarda con “sconcerto” quanto accade.
La grande stampa in ginocchio per Mario Draghi
Andiamo avanti. La Stampa apre in prima pagina con il titolo a caratteri cubitali “Vergogna” e poi cuce un sottotitolo furbissimo: “Conte e Salvini affossano il governo”. Si sono dimenticati Berlusconi, sarà sicuramente un errore di distrazione. Marcello Sorgi scrive un editoriale in cui ci comunica che “i partiti giocano” e “il Paese affonda” parlando di un’ultima “scorribanda di due partiti populisti”.
Anche lui dimentica Berlusconi. Sarà una curiosa coincidenza che accada per due volte, in prima pagina, sullo stesso giornale. Sempre su La Stampa, Lucia Annunziata non si trattiene e scrive un editoriale dal titolo “Quei vigliacchi del draghicidio” in cui si dice di coccodrilli che “festeggiano” sui “resti di una legislatura” e si duole perché “nemmeno essere Draghi è stato sufficiente”.
Tra le analisi del Corriere, sempre in prima pagina, si richiama un pezzo che si intitola “Matteo, Giuseppi e l’asse populista”. Salvini è Matteo, Conte è “Giuseppi”, tanto per far capire che anche solo dal titolo si può evidenziare preferenze tra i traditori. Poi c’è il box dell’economia con due titoli sobri: “La crisi peserà sulla scelte della Bce” e “i tassi e il debito pubblico ora il Paese è senza scudo”.
Ugo Magri invece ha un sussulto religioso e attacca il suo pezzo, sempre in prima pagina de La Stampa, con “il miracolo non c’è stato”, poi una virgola che non serve, una congiunzione “e andremo a votare”.
Il Sole 24 Ore invece si trattiene e titola “M5s e centrodestra non votano la fiducia. Oggi Draghi chiude la partita alla Camera”. Avrebbero potuto scrivere “M5S Lega e Forza Italia”. Il titolo ci sarebbe stato lo stesso. Ma è dai particolari che si giudica un giocatore. Chi riesce a citare tutti i partiti che hanno fatto cadere il Governo è Metro: “Lega, FI e M5S si sfilano”. Il titolo? “Follia politica”.
Il Quotidiano del Sud non ha mezzi termini “Chi affossa il Paese non verrà perdonato”, scrivono. E poi: “L’irresponsabilità politica collettiva di una classe politica populista screditata”. Ma non finisce qui: “Draghi con il suo linguaggio della verità ha spaccato i partiti”, “non l’Italia anche l’Europa avrebbe bisogno di Supermario”, e poi “un leader con la stoffa da statista per un periodo di crisi” e poi “Male Piazza Affari la Grecia dà più fiducia”.
Di “Italia senza paracadute” scrive Milano Finanza. “Follia al Senato” anche per L’Eco di Bergamo. Massimiliano Panarari sul Giornale di Brescia scrive “la Caporetto del buonsenso per una politica irresponsabile”. “Povera Italia” titola Roma. “Immaturi” è il titolo de La Sicilia. Il Giorno scrive “L’ora più buia”. La Gazzetta di Parma parla de “L’Italia fa autogol”, e sempre di autogol si scrive sulla Provincia. “Draghi cade, imprese sconcertate” titola il Corriere del Trentino. Devono avere telefonato a tutte le imprese della zona prima di andare in stampa.
Deve essere andata così anche in Veneto se è vero che il titolo è “Le imprese: Atto irresponsabile»”, con la frase messa tra virgolette, come se fosse una dichiarazione di tutte le imprese, riportata letteralmente. Stessa cosa per il Corriere di Verona. Il tema è sempre lo stesso. L’amore per l’uomo solo al comando.
L’ossessione per la speranza che arrivi un taumaturgo che renda la politica e il Parlamento solo un rumore di fondo sono anche nel giorno della sua cauta i peggiori nemici di Draghi. L’aria che si è condensata intorno a lui, da parte di media che hanno raggiunto livelli di servilismo inimmaginabili in questo Paese, è la spinta perché i cosiddetti “populismi” (in queste ore sono populisti tutti coloro che per motivi diversi non erano d’accordo con le politiche del governo Draghi) si infiammino ancora di più, si induriscano e trovino sfogo ovviamente nei peggiori interpreti che ci troveremo alle prossime elezioni.
Ciò che si ricorderà del governo Draghi, al di là di tutto, è il tentativo di vietare non solo la dissidenza (dissentire è già un atto che prevede una certa dose di coraggio) ma perfino criticare Draghi e il suo governo.
I necrologi del giorno dopo dimostrano che oltre al Parlamento anche la stampa non ha imparato la lezione
Così, di colpo, Luigi Di Maio è diventato uno statista perché unto dalla carezza di Draghi, Renato Brunetta avrebbe dovuto andarci bene perché tanto c’era Draghi e perfino la ministra Mariastella Gelmini (che dà il nome alla peggiore riforma della scuola in questo Paese) è ora una lunare della politica italiana. I necrologi del giorno dopo dimostrano che oltre al Parlamento anche la stampa non ha imparato la lezione: indicare un eroe è il modo migliore per distruggerlo. Pronti per il prossimo.