Salman Bashir seguiva la guerra di Israele a Gaza da un mese quando il suo collega giornalista, Mohammed Abu Hatab, è stato ucciso. Durante una trasmissione in diretta Bashir ha gettato a terra il suo giubbotto con la scritta “PRESS”, gridando: “Siamo vittime in diretta TV”. Abu Hatab, reporter per Palestine TV, è stato ucciso in un attacco israeliano che ha distrutto la sua casa e ucciso 11 membri della sua famiglia a Khan Younis.
Abu Hatab è uno dei più di 100 giornalisti uccisi nei nove mesi di guerra, che rendono questo conflitto il più mortale per i giornalisti, superando persino la Seconda guerra mondiale. Con l’offensiva militare di Israele a Gaza, seguita all’attacco di Hamas del 7 ottobre, la vita dei giornalisti nella Striscia è diventata un incubo.
Il conflitto più mortale per i giornalisti
In quattro mesi Arab Reporters for Investigative Journalism ha collaborato con altre 13 organizzazioni per indagare sugli attacchi contro i giornalisti palestinesi, la distruzione degli uffici dei media a Gaza e gli attacchi ai giornalisti in Cisgiordania. Nonostante i blackout delle telecomunicazioni il consorzio è riuscito a intervistare 120 testimoni e consultare circa 25 esperti e analisti di armi.
Determinare il numero esatto di giornalisti uccisi è difficile ma il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) ha documentato l’uccisione di 102 giornalisti palestinesi, rendendo questa la guerra più mortale per i giornalisti da quando l’organizzazione ha iniziato a raccogliere dati nel 1992. Carlos Martínez de la Serna, direttore del programma al CPJ, ha dichiarato: “Sono stati uccisi mentre raccoglievano cibo, mentre riposavano in una tenda, mentre riferivano sulle conseguenze di un bombardamento”.
Il Sindacato dei giornalisti palestinesi (SPJ) alza la cifra a 140 giornalisti e lavoratori dei media uccisi dall’inizio della guerra e altri 176 feriti. Queste morti rappresentano il 10 per cento dei giornalisti a Gaza, secondo Shuruq As’ad, portavoce del sindacato. “I giornalisti di tutto il mondo dovrebbero essere protetti indipendentemente dal paese in cui lavorano”, ha detto.
L’esercito israeliano nega aver preso di mira i giornalisti. “L’IDF respinge apertamente la falsa accusa di uccisione mirata di giornalisti”, ha affermato il portavoce israeliano. Ma CPJ e altre organizzazioni sono convinte che i giornalisti uccisi fossero ben riconoscibili mentre svolgevano il proprio lavoro.
Nell’inchiesta pubblicata da The Intercept i giornalisti in Gaza hanno dichiarato di sentirsi “bersagliati”. Molti hanno paura di indossare giubbotti e caschi, rendendo difficile il loro lavoro. Sami Barhoum, corrispondente per TRT Arabia, ha raccontato di essere stato colpito direttamente da un proiettile di artiglieria mentre era in missione. Il suo cameraman, Sami Shehadeh, ha detto dal suo letto d’ospedale prima dell’amputazione della gamba: “Perché indossiamo giubbotti da stampa? Perché indossiamo i caschi? Così possono prenderci di mira?”.
Reporter senza frontiere (RSF) ha presentato tre denunce alla Corte penale internazionale riguardo ai crimini di guerra contro i giornalisti. Le denunce includono casi di oltre 20 giornalisti palestinesi uccisi dall’esercito israeliano. “RSF ha ragionevoli motivi per credere che alcuni di questi giornalisti siano stati deliberatamente uccisi e che altri siano stati vittime di attacchi deliberati da parte delle forze di difesa israeliane contro i civili”, ha dichiarato l’organizzazione.
Il conflitto più mortale per i giornalisti
La sorveglianza israeliana a Gaza è capillare. Droni sorvolano costantemente la Striscia, raccogliendo informazioni e conducendo attacchi. Khalil Dewan, ricercatore sull’uso dei droni, ha affermato che l’esercito israeliano “colpisce i suoi obiettivi con un alto grado di conoscenza di chi sta uccidendo”. Almeno 20 giornalisti e lavoratori dei media sono stati attaccati da droni dall’inizio della guerra.
In questo contesto, i giornalisti palestinesi continuano a rischiare la vita per documentare la guerra. Nonostante le immense difficoltà, la loro dedizione resta incrollabile. Come ha scritto il giornalista Roshdi al-Sarraj poco prima di essere ucciso da un attacco aereo: “Non ce ne andremo… e se ce ne andremo, andremo in cielo, e solo in cielo”.