di Gaetano Pedullà
Più amici che nemici. Per fortuna. I servizi usciti solo nei primi giorni di vita di questo giornale hanno fatto piovere in redazione un fiume di mail, telefonate e lettere. Molti ci fanno i complimenti, hanno colto lo spirito di questa testata (come credo spieghi molto bene la lettrice di cui pubblichiamo a pagina 15 la lettera al direttore). L’Italia è un Paese ingessato. Dove i cittadini elettori chiedono da anni a gran voce (e nelle urne) di cambiare, ma poi niente fa più paura del cambiamento.
Noi denunciamo fatti sotto gli occhi di tutti, provando a mettere il dito nelle piaghe di un sistema che funziona sempre meno. Faremo errori? Saremo ingenui? Può darsi, ma a volte occorre la sincerità e l’ingenuità di un bambino perché qualcuno avvisi il re che è rimasto nudo.
Per questo non ci sorprende l’altra parte delle lettere che ci avete mandato. Lettere di protesta, di indignazione, persino insulti e minacce per aver toccato il sindacato, i privilegi della casta, gli stipendi sproporzionati dei direttori generali degli ospedali, le spese enormi di enti inutili come il Cnel, e così via. E’ chiaro che chi gode di privilegi può accettare tutto, tranne che perderli. Il punto è che questi privilegi premono sulla carne viva di due generazioni tradite, abbandonate alla precarietà e alla disperazione. La prima è la generazione dei giovani: scolarizzati, illusi da modelli effimeri e lasciati senza lavoro. La seconda generazione è quella dei pensionati. Non i pochi pensionati d’oro favoriti dalle corsie preferenziali di questo sistema, ma i pensionati – la stragrande maggioranza – che hanno buttato sudore e lacrime una vita, per poi raccogliere una pensione che li umilia giorno per giorno. Uno scenario che a noi preoccupa. E che denunceremo finché potremo.