Per candidarsi a governare l’Italia ci vuole evidentemente anche una buona dose di faccia tosta. E questa non sembra mancare alla leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni.
Giorgia Meloni prova a blindare l’eredità che (forse) le spetta. Ma quando governava con Silvio l’Italia rischiò la bancarotta
In questa campagna elettorale infuocata, anche a costo di andare contro il suo alleato Matteo Salvini, Giorgia Meloni ci spiega, vestendo a sorpresa i panni della paladina dell’austerity, che lo scostamento di bilancio, se prima non si realizzano a livello europeo il tetto al prezzo del gas e il disaccoppiamento tra lo stesso prezzo del gas e quello delle altre forme di energie, rischia di diventare un enorme regalo alla speculazione.
Come va ripetendo instancabilmente Giulio Tremonti, candidato con il partito della Meloni ed ex ministro dell’Economia dei governi Berlusconi. Meloni ci spiega che “c’è bisogno di avere stabilità e una visione chiara, perché il problema degli ultimi anni, quando metti insieme tutto e il suo contrario, è stato che le risorse vengono disperse.
La nazione – spiega la leader di Fdi – non ha una strategia industriale, non ha avuto una stabilità, che diventa anche un problema di credibilità internazionale e di rapporto con l’Europa”. E mette le mani davanti: “La situazione italiana non è facile per i conti che ereditiamo”. Ma, in tutto questo, la Meloni ci appare vittima di uno sfacciato processo di rimozione.
La leader di FdI rimuove, o fa finta di dimenticare, che è stata ministro dell’ultimo governo Berlusconi (2008-2011) che non si è certo distinto per credibilità internazionale, tutt’altro. Governo in cui Tremonti era appunto ministro dell’Economia, il leader di Forza Italia era premier e Meloni era ministro alle Politiche giovanili. In quei tre anni e mezzo l’Italia rischiò la bancarotta.
Letta ha ricordato alla leader di FdI alcuni dati macro economici che raccontano il fallimento del governo di cui era ministro
Il numero uno del Pd, Enrico Letta, ha ricordato alla leader di FdI alcuni dati macro economici che raccontano il fallimento del governo di cui era ministro: -3% Pil, tasso di disoccupazione dal 6,8% al 9,5%, debito pubblico dal 106,2% al 119,7%, deficit pubblico dal 2,6% al 3,6%, spesa pubblica corrente dal 43,5% al 45,3%, disuguaglianza di reddito dal 31,7% al 32,7, evasione Iva dal 28,8% al 29,4%, e ultimo dato che chiama in causa la Meloni direttamente, perché era a capo del dicastero della Gioventù, disoccupazione giovanile passata dal 21,4% al 31,6%. E non è finita.
L’estate del 2011 fu quella in cui gli italiani scoprirono l’esistenza dello spread che misura il differenziale di rendimento tra i nostri titoli pubblici e quelli dei più affidabili titoli del debito pubblico tedesco. Il 5 agosto fu il giorno della lettera del presidente della Bce, Jean Claude Trichet, e del governatore di Bankitalia, Mario Draghi, al governo italiano, in cui venivano indicate una serie di misure urgenti e riforme strutturali per uscire dalla crisi finanziaria.
Ebbene in quel giorno lo spread riuscì a battere un nuovo record, sfiorando i 400 punti base. Il 9 novembre 2011 – pochi giorni dopo Silvio Berlusconi si dimette aprendo la strada al governo tecnico di Mario Monti – il differenziale tra Btp e Bund a 10 anni segna il livello record di 575 punti.
Lungo è l’elenco delle altre “prodezze” dell’ultimo esecutivo guidato dal presidente azzurro. In quei tre anni e mezzo vennero abrogate le norme di contrasto all’evasione fiscale varate dal governo precedente. Fu approvato lo scudo fiscale. Aboliti i tetti agli stipendi dei manager pubblici. Alitalia fu svenduta alla cordata italiana. Attraverso i cosiddetti Tremonti Bond furono concessi aiuti alle banche. E ancora: il lodo Alfano, una legge per l’immunità alle alte cariche dello stato, dichiarata poi incostituzionale.