La Toscana è la regione della cultura, la scuola è un elemento fondamentale della società, uno strumento attraverso la quale i nostri giovani possono acquisire conoscenze, costruirsi un futuro. Lo ripete più volte e con convinzione, nel corso dell’intervista, il governatore Eugenio Giani.
Presidente, il ministro Azzolina prosegue la sua battaglia politica per la riapertura delle classi anche alle superiori, ma le regioni hanno fatto capire che sono contrarie e che si dovrà aspettare ancora. In Toscana invece il ritorno in presenza al 50% da lunedì è una realtà e lei era già pronto il 7. Perché la sua è stata l’unica delle grandi regioni a far suonare la campanella quasi per tutti?
“In questi mesi sono sempre stato molto preoccupato degli effetti della pandemia sui giovani e sul loro allontanamento dalle aule scolastiche, la Dad è un buon servizio ma non può sostituire la presenza diretta, la costruzione di una comunità dove c’è un insegnante e una socialità. La scuola non deve assolutamente essere vissuta come ‘il problema’, questo a livello psicologico sui ragazzi avrebbe un effetto devastante: già a dicembre io ho sentito l’esigenza di fare il possibile affinché potessero tornare almeno al 50% in aula”.
A detta degli esperti il rischio d’infezione in ambito scolastico è realmente molto ridotto, non a caso lei ha 4 milioni investito sui trasporti.
“Riducendo la capienza sugli autobus al 50% e incrementandone il numero – noi ne abbiamo commissionati 329 in più – con un lavoro coordinato anche con i Prefetti, scaglionando gli ingressi nelle scuole con un orario differenziato siamo riusciti a garantire il ritorno in presenza. E grazie anche ad un ‘sentiment’ diffuso nella nostra regione, c’è stato un impegno collettivo a non lasciare indietro la scuola”.
Il modello Toscana si è rivelato vincente anche sulla campagna vaccinale: ieri siamo arrivati ad oltre 50mila vaccini somministrati. Come si è organizzato?
“Ritengo che il grande argine alla pandemia è rappresentato dai vaccini, quindi ho mobilitato per tempo i direttori delle asl e le strutture dell’assessorato alla Sanità a mettere in campo un’organizzazione il più possibile funzionale. Per prima cosa abbiano studiato un modello di prenotazione attraverso la rete informatica: nella nostra regione non ci sono le file, nei 46 luoghi dove vengono somministrati i vaccini si accede con la prenotazione quindi grazie alla digitalizzazione riusciamo a farne di più”.
A proposito di innovazione e digitalizzazione, pensa che le regioni siano state coinvolte abbastanza nella realizzazione del Recovery Plan per accedere alle risorse stanziate dall’Ue?
“I progetti contenuti nella bozza purtroppo sono stati pensati e presentati in modo molto centralizzato, io avrei dato molto più spazio alle esigenze e ai progetti degli enti locali anche perché per accedere ai fondi del Recovery l’attuazione esecutiva deve avvenire in tempi molto rapidi. Speriamo di recuperare nei prossimi mesi”.
Che ne pensa delle misure di contenimento della pandemia del nuovo Dpcm in vigore dal 16 gennaio?
“Come impostazione generale non mi dispiacciono, la divisione delle regioni in zone differenziate è un meccanismo che funziona. La cosa che non mi convince è tenere conto dell’indice Rt, che è un coefficiente algebrico, per stabilire la fascia di appartenenza. Credo sarebbe più auspicabile un metodo fondato su dati oggettivi, ad esempio sul rapporto fra popolazione e positivi, e sul numero di terapie intensive disponibili”.