di Alessandro Barcella
Il destino economico che attende il nostro Paese? Più in direzione dell’Africa che non verso l’Europa, o ciò che è rimasto di questa istituzione. E’ la sintesi della valutazione, impietosa e con pochi appelli, che della politica economica italiana fa Loretta Napoleoni, studiosa di caratura internazionale e autrice di numerosi saggi sui temi economici. A lei, che segue attentamente il nostro Paese pur vivendo da tempo tra Londra e gli Stati Uniti, proviamo ad affidare una valutazione di quanto sta facendo il Governo Letta e più in generale di quanto ha fatto il nostro Paese negli ultimi due-tre anni. Una lettura che non sembra lasciare spazio a chiavi differenti: “Questo Governo in particolare non sta facendo nulla di veramente necessario, le discussioni sull’Iva e sull’Imu o su ciò che si è fatto in passato riguardano decisioni precedenti prese a Bruxelles: direi che siamo davvero in altissimo mare”, esordisce la studiosa.
Il malato che sembra morto
La questione fondamentale sembra essere lo “stato di salute” del paziente Italia, e le cure che è ancora possibile somministrargli: “Il Governo, che è di coalizione tra centro- destra e centro-sinistra, è debolissimo, occorrerebbe un governo davvero forte, con forte consenso elettorale nel Paese – prosegue la Napoleoni -. Che si voglia adottare poi una politica keynesiana o neoliberista, o mista, occorre il consenso, senza il quale non si fa nulla. L’Italia al momento mi sembra fortunata quantomeno perché ora i mercati sono distratti, ma in generale non stiamo affatto messi bene”. Per riaccendere il motore dello sviluppo, pare di capire, occorre avere ben chiaro in testa un minimo di concetto di politica industriale. Ed è proprio qui, spiega l’economista, che sussistono i guai peggiori: “La politica economica non si fa con le tasse, anche perché il debito è ormai impagabile. Di questo Governo non condivido assolutamente nulla. Dov’è la politica industriale italiana? Occorre riscriverla completamente da capo, in questi ultimi 15-20 anni le imprese hanno lavorato sostanzialmente per lo Stato. Abbiamo perso gran parte delle nostre eccellenze, dall’artigianato all’acciaio sino al settore automobilistico. Tutto è andato via dall’Italia tanti anni fa. Dovremmo allora puntare sulle poche eccellenze rimaste, tipo l’ottica, tagliando i rami secchi”.
E la Germania?
Più vicini all’Africa dunque e alla povertà, dicevamo, che ad una Germania che pare lontana anni luce. “La Germania è una macchina da guerra – prosegue Loretta Napoleoni -, il secondo esportatore di prodotti al mondo. Esporta ciò che avremmo potuto esportare anche noi, ma l’Italia non è stata affatto capace di capitalizzare quel boom e quel benessere registrato negli anni ’50 e ’60: l’Italia è tutta da ricostruire, ma i soldi per farlo dove sono?”. In un precedente libro del 2011, “Il contagio”, l’economista fu tra le prime a parlare della necessità di una nostra uscita pilotata dall’Euro, una sorta di default controllato. Oggi, due anni dopo, neanche questa scelta rientra ormai tra le nostre opzioni possibili: “Se usciamo oggi chi compra i nostri prodotti? Non gli acquirenti dei prodotti tedeschi, perché la qualità è diversa. Uscire dall’Euro oggi senza ricostruire, senza un’industria, sarebbe una pazzia. E la tanto sbandierata agenda per le imprese? Non basta più, perché le nostre imprese non sono competitive”. Il paziente sembra dunque irrimediabilmente spacciato, o forse già morto nonostante l’accanimento terapeutico di Letta, Epifani e Berlusconi. E allora forse non resta che assistere alla deriva, neanche così tanto lenta, fuori dall’orbita Europea. Ma con uno spirito nuovo, con quella serenità di chi attende una fine non procrastinabile. O puntare sul settore agricolo e su quello delle energie rinnovabili, come suggerisce Loretta Napoleoni. Sì, ma ancora una volta: con quali soldi?