Tre giorni pieni, approfittando del ponte. E così, mentre tanti leader politici sono scesi da Roma per dar manforte ai loro candidati nella corsa alle elezioni regionali in Sicilia, Paolo Gentiloni, nel silenzio dei canali mainstream, si è recato in Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi. Non una parola sull’oggetto dei vertici. Al di là di “incontri” e “punto stampa” sul sito di Palazzo Chigi, resta tutto off-limits. È indubbio, però, che i forti interessi che legano il nostro Paese ai sauditi abbiano avuto un ruolo centrale. Specie in campo militare. Un indizio, d’altronde, arriva dalle personalità che si sono avvicendate col nostro presidente del Consiglio. Oltre ai vari emiri e primi ministri, ad esempio, negli Emirati Gentiloni ha incontrato anche il Vice Comandante Supremo delle Forze Armate, Mohammed bin Zayed Al Nahyan. In Arabia, invece, il vertice si è tenuto non solo col re saudita ma anche col principe ereditario Mohammed bin Salman che, incidentalmente, è anche ministro della Difesa. Parliamo, dunque, di personalità istituzionali ben precise e tarate sull’ambito militare. D’altronde parliamo proprio di quei Paesi – Arabia ed Emirati – impegnati nella guerra in Yemen, una guerra che, nonostante mille denunce e nonostante l’opinione contraria dell’Onu, continua indisturbata da oltre due anni. Mietendo vittime e feriti. L’ultimo aggiornamento parla di 10mila morti, la cui metà sono civili.
Pecunia non olet – Dati e numeri, questi, che tuttavia non sembrano interessare alle nostre istituzioni. E non da ora. Prendiamo l’Arabia Saudita: se nel 2014 le autorizzazioni all’esportazione di armi in Arabia ammontavano a 163 milioni, nel 2015 sono raddoppiate (258 milioni) e ora quadruplicate a 427 milioni. Numeri che la rendono, oggi, il sesto nostro acquirente in assoluto, prima ancora degli Stati Uniti (al settimo posto). E subito dietro gli Usa, ecco il Qatar, altro Stato che non brilla nel rispetto dei diritti umani. E, soprattutto, altro Stato in cui la crescita dell’esportazione italiana di armi è stata clamorosa. Leggere per credere: nel 2014 le autorizzazioni rilasciate dalla Farnesina per l’esportazione ammonatavano a 1,65 milioni, nel 2015 si è passati a 35 milioni, nel 2016 a 341 milioni di euro. Non è un caso, allora, che prima di Gentiloni viaggi simili siano stati compiuti da Matteo Renzi, Roberta Pinotti e Angelino Alfano. Sempre conditi da sorrisi, strette di mano e trasparenza ridotta all’essenziale.
Zero trasparenza – Crescita indisturbata delle vendite armate, dunque, verso Paesi con i quali non dovremmo commerciare, secondo quanto specificato dalla legge 185 del ‘90, che vieta di vendere appunto a chi è impegnato in guerre non riconosciute o a chi viola in casa propria i diritti umani. Non a caso anche a Bruxelles ci sono state ben tre risoluzioni approvate negli ultimi mesi (a febbraio 2016 e a giugno e ottobre 2017) affinché i Paesi membri non vendano armi alla coalizione saudita. Nell’ultimo atto dell’Europarlamento si chiede esplicitamente la “necessità urgente di imporre un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita”. E invece, nel silenzio assoluto, assistiamo al nostro premier che vola in Arabia, Emirati e Qatar per parlare non solo con i capi di Stato ma anche con i comandanti delle forze militari. Il tutto, ovvviamente, garantito da un liturgico silenzio delle istituzioni. “Ed è proprio questo il punto: manca totalmente trasparenza”, sottolinea a La Notizia il portavoce di Amnesty International, Riccardo Noury, che aggiunge: “Con Amnesty abbiamo scritto alla presidenza del Consiglio prima che Gentiloni partisse chiedendo proprio di utilizzare questi incontri per chiedere agli Stati il rispetto dei diritti umani in Yemen”. Risposta? “Non abbiamo avuto alcun riscontro”. Ovviamente anche il nostro giornale ha chiesto a Palazzo Chigi se nei summit c’è stato modo di parlare dello Yemen. Ma la presidenza del Consiglio ha preferito il silenzio. Anche questa volta.
Tw: @CarmineGazzanni