Dopo una lunga attesa finalmente si parte. Oggi nella tensostruttura allestita nel cortile del palazzo di giustizia di Genova si aprirà l’udienza preliminare del maxi processo per il crollo del Ponte Morandi, in cui il 14 agosto del 2018 persero la vita 43 persone. Il giudice potrà decidere chi rinviare a giudizio tra le 59 persone imputate (leggi l’articolo), tra cui l’ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia e Atlantia, Giovanni Castellucci (nella foto).
Tra gli imputati, per responsabilità amministrativa, figurano anche la società Autostrade e Spea, la società del gruppo Atlantia che si occupava delle manutenzioni. Sono oltre 300, invece, le parti civili e circa 100 gli avvocati. Nei giorni scorsi ad annunciare la decisione di costituirsi parte civile, anche il Comune di Genova, la Regione Liguria ei sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil.
Le accuse, a vario titolo, vanno dall’omicidio colposo plurimo all’attentato alla sicurezza dei trasporti, fino al crollo doloso, al falso e all’omicidio stradale. L’udienza preliminare, che dovrebbe durare almeno fino a dicembre, comincerà con un colpo di scena: gli avvocati difensori di Castellucci e di altri cinque imputati presenteranno, infatti, istanza di ricusazione del gup Paola Faggioni.
Secondo i legali, il giudice andrebbe sostituito perché aveva firmato l’ordinanza delle misure cautelari nei confronti dello stesso Castellucci e di altri indagati nell’ambito dell’inchiesta parallela sulle barriere fonoassorbenti non a norma. A decidere se accogliere o meno la richiesta sarà il presidente della Corte di Appello di Genova. In caso di accoglimento, i tempi del processo, che si annuncia già piuttosto complesso, rischiano di allungarsi ulteriormente.
COSA POTREBBE ACCADERE. Il magistrato potrà ovviamente andare avanti con le udienze fino a che la Corte d’Appello non deciderà se accogliere o meno la ricusazione. In caso di accoglimento il gup dovrà essere cambiato, ma gli atti senza valenza di prova resterebbero validi. Bisogna infatti ricordare che dopo il crollo la guardia di finanza aveva avviato indagini anche sui falsi report sullo stato di salute dei viadotti liguri, sulle barriere fonoassorbenti pericolose e sulle gallerie: nel registro degli indagati sono state iscritte quasi sempre le stesse persone e cioè gli ex vertici di Aspi e Spea, quest’ultima la società controllata che si occupava delle manutenzioni e ispezioni.
RICHIESTE E MANOVRE. Nel loro atto d’accusa i pm Massimo Terrile e Walter Cotugno, coordinati dal procuratore aggiunto Paolo D’Ovidio, scrivono: “I problemi cui il processo deve dare risposta sono, semplificando al massimo, soltanto due: un buon gestore/manutentore avrebbe potuto/dovuto accorgersi delle condizioni in cui versavano i cavi ed intervenire tempestivamente per interrompere il traffico e porvi rimedio, oppure il disastro era inevitabile? Se il disastro non era inevitabile, chi non ha fatto quanto avrebbe avuto l’obbligo di fare in relazione al suo ruolo e alla sua area di competenza?”.
Per i pm “era possibile, e quindi doveroso, evitare il disastro”. Se la fotografia dello stato del ponte è stata scattata dai periti, le responsabilità degli uomini di Aspi, Spea e del ministero sono state messe a nudo dal lavoro della Guardia di Finanza. A partire dalle intercettazioni fra gli stessi dirigenti. Una su tutte, a proposito delle ispezioni sul ponte: “Ci mandavano i ciechi”. Nel frattempo, però, stanno piovendo lauti risarcimenti disposti da Autostrade: la stragrande maggioranza dei familiari delle vittime è stata risarcita e dunque non sarà parte del processo.