Che i rapporti tra Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni non siano nella loro fase migliore non è di certo una novità. Dopo il voto contrario di Fratelli d’Italia al bis della presidente della Commissione, il confronto è diventato molto più gelido. E di certo non aiuta il protrarsi dei tempi nell’indicazione, da parte dell’Italia, del nome del prossimo commissario europeo.
La Repubblica racconta dell’irritazione della Commissione per la gestione della nomina del nuovo commissario da parte di Roma. Il nome va indicato entro fine mese e Roma non ha ancora fatto nulla. Insieme ad altri quattro Paesi, che ancora non si sono espressi. Con qualche differenza, però: tra questi ci sono Belgio e Bulgaria, che non hanno un governo in carica. Oltre che il Portogallo, che avrà la presidenza del Consiglio europeo con Antonio Costa. E la Danimarca.
Irritazione di von der Leyen con Meloni: ancora non indicato il nome per il prossimo esecutivo Ue
L’Italia è l’unica tra i big a non aver fornito indicazioni. Una posizione che irrita Bruxelles anche perché Roma punta (con il rischio molto alto di rimanere delusa) a un incarico di peso e alla vicepresidenza, ma intanto non è riuscita neanche a fornire un nome.
Il nome che gira da settimane, confermato praticamente da tutto il governo, è quello dell’attuale ministro con delega al Pnrr, Raffaele Fitto. Nome che non dispiacerebbe a Bruxelles, ma che preoccupa il governo per la sua difficile sostituzione. In più ci sono anche i timori della Commissione, che è preoccupata dal cambio in corsa del ministro che gestisce il Pnrr, con sempre meno certezze sull’attuazione del piano.
Il nome di Fitto, comunque, dovrebbe essere ufficializzato dal Consiglio dei ministri che potrebbe tenersi mercoledì. C’è poi un altro problema per la Commissione: lo scontento per l’indicazione di nomi solo al maschile, contrariamente a quanto chiesto da von der Leyen, che chiedeva un nome maschile e uno femminile. L’Italia dovrebbe fare solo il nome di Fitto, invece. E finora la Commissione vede solo cinque donne nella sua futura composizione. Con un rischio, peraltro, anche in vista del voto del Parlamento europeo che potrebbe non dare il suo sostegno a un esecutivo con così tanto disequilibrio di genere.