Gaza, Hamas tende la mano ad Israele: “Possibile la liberazione di sei ostaggi questo sabato”. Ma i negoziati di pace per la fase 2 ancora non decollano

Gaza, Hamas tende la mano ad Israele: "Possibile la liberazione di sei ostaggi". Ma i negoziati di pace per la fase 2 ancora non decollano

Gaza, Hamas tende la mano ad Israele: “Possibile la liberazione di sei ostaggi questo sabato”. Ma i negoziati di pace per la fase 2 ancora non decollano

Da un lato, Hamas si dice pronto a liberare sei ostaggi questo sabato come segno della propria buona fede nel proseguire con il cessate il fuoco; dall’altro, i negoziati di pace per discutere della possibile “fase due” dell’accordo tra il gruppo palestinese e Israele non decollano. Sono ore di apprensione per la Striscia di Gaza, dove si teme il ritorno delle ostilità. Un’eventualità tutt’altro che remota, considerando che le trattative sarebbero dovute iniziare diverse settimane fa, ma che, come spiegato dal ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar, prenderanno il via soltanto “questa settimana”.

“Abbiamo avuto una riunione del gabinetto di sicurezza in cui abbiamo deciso di aprire i negoziati sulla seconda fase”, ha aggiunto il ministro. Un’apertura che è una diretta conseguenza dell’ultimatum di Hamas, che aveva chiesto di avviare “immediatamente” le trattative per il prolungamento della guerra, altrimenti non avrebbe rilasciato ulteriori ostaggi. Proprio a seguito delle parole di Sa’ar, il gruppo terroristico palestinese, in segno di buona volontà, ha fatto sapere che “questo sabato” potrebbe “liberare sei ostaggi, invece dei tre previsti” dall’accordo.

Gaza, Hamas tende la mano ad Israele: “Possibile la liberazione di sei ostaggi questo sabato”. Ma i negoziati di pace per la fase 2 ancora non decollano

Le speranze di una risoluzione diplomatica, dopo i segnali negativi dei giorni scorsi che facevano presagire l’intenzione di Benjamin Netanyahu di riprendere i combattimenti, si sono riaccese. Ma non è tutto oro quel che luccica. Secondo quanto riferiscono i media israeliani, al momento il gabinetto politico-militare di Israele, anziché preparare il terreno per i negoziati sulla fase 2 dell’accordo di pace, ha preferito “concentrarsi sul raggiungimento degli obiettivi pattuiti per la prima fase dell’accordo con Hamas”.

Proprio per questo, rivelano i quotidiani di Tel Aviv, nella riunione del gabinetto non sarebbero state fornite indicazioni – tanto meno uno schema preciso – su come condurre i negoziati alla delegazione israeliana che presto si recherà al Cairo per discutere della fase 2 dell’accordo.

Il dramma infinito nella Striscia

Quel che è certo è che, nonostante una fragile tregua, non di rado funestata dai raid dell’esercito israeliano, la situazione dei civili nella Striscia di Gaza non è affatto migliorata. Anzi, con il passare del tempo continua a peggiorare, anche a causa della linea dura di Netanyahu, che sembra voler fare poco o nulla per evitare una catastrofe umanitaria.

Proprio mentre crescono i timori per le condizioni di vita dei palestinesi, il primo ministro israeliano ha ordinato l’immediata attuazione della discussa legge, approvata alcune settimane fa, che vieta le attività dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa) nella Striscia di Gaza, in Israele e in tutti i territori sotto il suo controllo. Tel Aviv accusa infatti l’agenzia ONU di essere coinvolta nell’attacco del movimento palestinese Hamas del 7 ottobre 2023. Accuse pesanti, a cui le Nazioni Unite hanno sempre risposto negando ogni addebito e facendo notare che Israele non ha mai fornito prove concrete a sostegno delle proprie affermazioni.

Ciò che aggrava ulteriormente la situazione è che lo stop all’Unrwa arriva in concomitanza con l’allarme lanciato da Oxfam sulla “disastrosa situazione umanitaria nel governatorato di Gaza Nord e a Rafah”, dove i civili sono rimasti pressoché privi di acqua potabile.

Secondo Oxfam, in oltre quindici mesi di guerra, il bilancio della distruzione delle infrastrutture essenziali è drammatico: ben 1.675 chilometri di reti idriche e igienico-sanitarie sono stati completamente rasi al suolo, causando gravi problemi nell’approvvigionamento di questo bene essenziale per la sopravvivenza umana. Sempre secondo l’organizzazione internazionale, a Gaza Nord e a Rafah “la disponibilità di acqua per la popolazione si è ridotta del 93% rispetto alla già scarsa quantità disponibile prima del 7 ottobre 2023”.