“Senatore Perilli, inviti i senatori del suo Gruppo a riprendere posto… Senatore Licheri, la prego… Colleghi, non mi costringete a sospendere la seduta. Procediamo con il voto… Mettetevi seduti…”. Ieri al Senato l’odg era di quelli caldi. Non solo l’utilizzo delle intercettazioni a carico di Luigi Cesaro, Carlo Giovanardi e Roberto Marti, ma anche sei senatori a cui riconoscere l’insindacabilità prevista dall’articolo 68 della Costituzione.
Gasparri, Candiani e l’esercito degli impuniti
Ossia l’immunità concessa ai parlamentari per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni, cosa che il M5S considera un “privilegio” che comprime, per dirla con Agnese Gallicchio, “il diritto alla giustizia del cittadino”. Da qui dibattito. Anzi: gazzarra. Cominciamo dalla fine, dall’elenco dei salvati: Stefano Candiani, Lega, i forzisti Maurizio Gasparri (presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere) e Anna Maria Bernini, il Pd Fabio Mirabelli, l’ex grillino oggi al Misto (nonché membro, pure lui, della giunta) Gian Mario Giarrusso, Laura Bottici, questore M5S.
Le presunte colpe? Per Candiani c’era la denuncia di un compagno di partito siciliano offeso da un comunicato che accusava i leghisti dell’isola di puntare solo alle poltrone; Mirabelli è finito nel mirino di baristi e bagnini di Ostia per dichiarazioni sulla criminalità organizzata; la Bottici è stata denunciata dal sindaco di Carrara, duramente colpito dall’affermazione che “spesso i rapporti tra l’amministrazione e gli imprenditori locali che si occupano di cave, sono pseudo-mafiosi”. Bernini e Gasparri erano invece sotto l’assalto dei magistrati: per lui Rosanna Calzolari, giudice del tribunale di sorveglianza di Milano (“Chiedo pubblicamente che il Csm la cacci su due piedi”); e per lei Antonio Esposito e Claudio D’Isa, membri della sezione feriale che nel 2013 ha condannato Berlusconi.
Niente processo per diffamazione, Palazzo Madama vota l’insindacabilità
Quanto a Giarrusso, si ritrovava con ben due denunce sulle spalle. Di cui una per l’intemerata con cui, in un comizio a Porto Empedocle, aveva millantato un interessamento dell’Antimafia a carico di un avversario politico. Gli schieramenti in aula erano chiarissimi: favorevoli al “liberi tutti” Fi e Lega, Pd e Leu (tranne nel caso di Giarrusso), Iv e partitelli vari; contrari i grillini. Ma quando è arrivato il caso Bottici è scoppiato il caos. Perché è vero, i Cinque Stelle hanno votato contro lo scudo, ma i colleghi l’hanno imposto di default alla collega: “Va salvaguardata non la senatrice Bottici, ma il mandato parlamentare come tale” ha spiegato il forzista Adriano Paroli.
Ora anche Elvira Evangelista, membro M5S in giunta, invita a ripensare la linea “un po’ troppo oltranzista” del Movimento: “Al parlamentare, nell’esercizio della sua attività, va garantita la libertà d’espressione e di critica politica. Bisogna valutare caso per caso. Il che non significa libertà di insulto alla Gasparri”. E neanche il diritto, qualcuno lo spieghi a Giarrusso, di utilizzare l’Antimafia per colpire gli avversari.