Di Lapo Mazzei
Il primo passo è stato compiuto, rispettando il copione della vigilia. E ora può andare in onda il film vero e proprio. Dopo il via libera della Giunta per le autorizzazioni alla richiesta di custodia cautelare nei confronti di Giancarlo Galan, nell’ambito dell’inchiesta sul Mose, tocca all’Aula di Montecitorio dire l’ultima parola. Da calendario l’approdo del “caso Galan” in Aula è previsto per martedì prossimo alle 17, come ha confermato il relatore Mariano Rabino di Scelta Civica, che manterrà il ruolo anche durante i lavori dell’Assemblea. Quanto all’ipotesi di voto segreto, iniziata a circolare subito dopo il parere della giunta, lo stesso esponente montiano prova a fare chiarezza. “In Giunta non ho sentito questa ipotesi, ma fuori dalla commissione ho sentito che alcune forze politiche potrebbero avanzare la richiesta di voto segreto”. Rabino rivendica che l’esame del fascicolo è stato “molto approfondito in un clima sereno”. Detto questo, “io ritengo sia il caso di riflettere sull’immunità che va superata”. Rabino sottolinea come nella parte finale della sua relazione “si sia “fatto carico della novella normativa in vigore dopo la richiesta del Gip e invito i magistrati, nel rispetto della loro autonomia, a valutare l’applicazione delle nuove norme”. E il nodo attorno al quale rischia di avvitarsi l’intera vicenda sarebbe proprio questo.
Le ultime carte dispobili
Fino all’ultimo i deputati tenteranno di far slittare il voto in Aula, previsto al momento per martedì, dato che un gruppo di parlamentari potrebbe chiedere alla presidente della Camera, Laura Boldrini, di valutare lo slittamento del voto. La richiesta di custodia cautelare in carcere spiccata dal giudice per le indagini preliminari di Venezia nell’ambito dell’inchiesta sul Mose, collide con la norma del decreto sul risarcimento dei detenuti, che per reati punibili fino a un massimo di tre anni prevede gli arresti domiciliari e non la custodia in carcere. Per questa ragione i parlamentari vogliono che la magistratura si pronunci sulla richiesta nei confronti dell’ex presidente della Regione Veneto prima che a decidere sia l’Aula. Dopo la decisione finale di Montecitorio, prevista per il 15 luglio, per Galan si aprirebbero le porte del carcere. Anche se la normativa vigente non lo prevede più. Questa posizione è stata sostenuta dai membri di Forza Italia, Nuovo Centrodestra Partito Socialista in giunta per le autorizzazioni, su iniziativa del socialista Di Lello. Ma la giunta ha bocciato la proposta a larga maggioranza. A questo punto è chiaro che l’appello sarà riproposto all’indirizzo della Boldrini stessa, perché si esprima se possibile con la convocazione della conferenza dei capigruppo. Lo stesso relatore in giunta, pur escludendo nella sua relazione il “fumus persecutionis” nell’inchiesta su Galan, e sottolineando che “la nuova disciplina non comporta automatismi applicabili ipso iure al caso di specie”, ha espresso l’auspicio che “sia la magistratura a valutare in tempi ragionevolmente brevi”, spiega il montiano Rabino, “la conformità del provvedimento restrittivo più afflittivo con le recenti modifiche legislative dell’istituto della carcerazione preventiva, recate dal decreto in via di conversione da parte delle Camere”.
Fuoco Grillino sulla casta
Il caso Galan, al di là della riapertura del dibattito sulla legittimità dell’immunità parlamentare o meno, ha offerto nuova benzina ai grillini per attizzare ulteriormente la polemica. “Galan? Deve andare in galera per direttissima e lo devono portare fuori dalla Camera con le manette ai polsi, come cosa simbolica per dare un esempio”, dice il senatore dei 5 Stelle, Mario Giarrusso, ospite del programma radiofonico La Zanzara su Radio 24. “In America”, dice Giarrusso. “quando arrestano un parlamentare lo vanno a prendere nel suo ufficio, lo ammanettano e tutti i suoi colleghi escono dalle loro stanze e gli voltano le spalle. È un simbolo: prendere le distanze. Invece in Italia succede il contrario: i deputati prendono le difese dei delinquenti”.