Di Luigi Corvi per Il Corriere della Sera
«Se uno scommetteva da me su Italia-Uruguay, il risultato di 0-1 era quotato a 7, da loro era quotato a 10. Capisce che così non c’è storia? Io su ogni puntata ci pago le tasse,e poi per poter aprire una sala, tra diritti e garanzie, devo metterci anche 200 mila euro. Loro no, nessun permesso, nessun controllo. È la giungla».
Nel vasto e variegato mondo che ruota intorno al gioco d’azzardo, irrompe un nuovo fenomeno. Lo racconta bene Carlo Rinelli, uno dei 140 mila operatori (tra concessionari, gestori e produttori di apparecchi) che negli ultimi tempi hanno visto moltiplicarsi punti gioco non autorizzati ma aperti quasi legalmente. «È il solito pasticcio all’italiana — spiega —. Uno chiede la licenza come copisteria o internet point, poi mette i “totem”, semplici pc collegati a server stranieri, e il gioco è fatto senza chiedere permessi e senza versare niente all’erario». Tutto consentito, a quanto pare, da una normativa europea che però contrasta con la legge italiana. Risultato? Quando le forze dell’ordine fanno chiudere le attività non autorizzate, spesso basta un ricorso al Tar per poterle riaprire.
Definire i contorni del nuovo fenomeno, che va ad allargare la platea dei soggetti a rischio ludopatie e rende più ardui i controlli sul divieto di gioco dei minorenni, è difficile. Di ufficiale ci sono solo i dati della Guardia di Finanza, rapporto annuale 2013, in cui queste sale da gioco camuffate finiscono nel consuntivo generale dell’illegalità: 1.934 i punti scommesse clandestini chiusi nel 2012, 2.035 gli apparecchi sequestrati.
Per avere numeri più verosimili bisogna affidarsi ai dati elaborati da Confindustria Sistema Gioco Italia, secondo cui sarebbero più di cinquemila le sale non autorizzate in tutta Italia. «Le agenzie di scommesse regolari — precisa il presidente Massimo Passamonti — sono 2.000, cui bisogna aggiungere 5.000 corner, per una raccolta complessiva di tre miliardi e settecentomila euro (che esclude gli incassi delle 370 mila slot sparse nei bar della penisola), contro i due miliardi di euro dei punti non autorizzati». Un danno evidente per gli operatori che agiscono nelle regole, ma anche per lo Stato biscazziere che lucra sul gioco d’azzardo e lo scorso anno ha incassato 8,2 miliardi (l’1,7% in più rispetto al 2012).
«Il punto — dice Passamonti per spiegare il pasticcio legislativo — è che gli esercizi non autorizzati al gioco aprono con licenze di centro trasmissioni dati, un’attività di intermediazione che consente alle società di avere sede in qualsiasi Paese della Ue, da Malta, all’Inghilterra, all’Austria. Ma c’è una direttiva che esclude i giochi perché riconosce agli Stati la facoltà di regolamentare il settore. E poi — aggiunge Passamonti — la legge italiana ha rafforzato il principio secondo cui l’obbligo di avere la concessione dallo Stato serve non solo a garantire le entrate all’erario, ma costituisce anche una tutela sociale e dell’ordine pubblico. Ora il governo deve intervenire per fare chiarezza con l’Unione europea».
Il fenomeno è esploso soprattutto in quelle città o province in cui le slot dei bar e le sale gioco, in applicazione delle distanze minime da obiettivi sensibili, di fatto sono state bandite. Ma si estenderà, dicono gli operatori, anche a regioni come la Lombardia che hanno varato leggi con regole valide per i nuovi esercizi e per i vecchi allo scadere delle concessioni.
Intanto le sale non autorizzate (che non pagando tasse garantiscono vincite più alte), si ingegnano e alcune mettono a disposizione dei clienti tablet con schede prepagate e anche smartphone, collegati sempre a server stranieri. Un sistema che permette di eludere più facilmente i controlli.