L’incidente alla funivia Mottarone è stato causato dall’avidità. I freni d’emergenza erano disattivati da un mese con il forchettone per permettere alla cabinovia di salire e scendere. E continuare ad avere incassi. Gabriele Tadini, il dipendente delle Ferrovie Mottarone, ha confessato le sue responsabilità e ha chiamato in causa Luigi Nerini ed Enrico Perocchio. Che però negano tutto.
Funivia Mottarone, la strage dell’avidità
I tre sono accusati, in concorso tra loro, di omissione dolosa, “articolo 437 del codice penale”, precisa il procuratore Olimpia Bossi che, in attesa delle verifiche tecniche sulla fune e dell’intervento dei consulenti esperti, domani chiederà la convalida dei fermi al gip del Tribunale di Verbania. E intanto si riserva “di valutare eventuali posizioni di altre persone”.
Presto potrebbero dunque esserci altri indagati, perché se è vero che i tre fermati erano “coloro che prendevano le decisioni” e che avrebbero “condiviso” quella scelta che, secondo le indagini, assieme alla rottura del cavo, ha causato l’incidente, il sospetto degli inquirenti è che anche altri sapessero delle anomalie della funivia e di quel ‘forchettone’, il divaricatore che tiene distanti le ganasce dei freni di cui ieri è stata trovata tra i boschi un’altra parte, la seconda.
Bloccare così quel freno d’emergenza, “senza interventi più decisivi e radicali” sembra esser stato, per i fermati, l’unico modo di non compromettere l’esercizio della funivia, che aveva ripreso a girare dopo il lungo stop per la pandemia. Quella cabina aveva infatti problemi da un mese o un mese e mezzo e per cercare di risolverli sono stati effettuati almeno due interventi tecnici. Che però non avevano risolto nulla.
Il freno disattivato da un mese per lucrare sulle corse
Come è scritto nel capo di imputazione i tre li hanno fermati solo per l’accusa di “rimozione o omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro”. Con l’aggravante che da questo comportamento ne è derivato un disastro. Un reato che prevede una pena fino a 10 anni. A cui si aggiungono l’omicidio colposo plurimo e le lesioni gravissime per cui i tre sono indagati. L’avvocato di Perocchio però ha negato che il suo assistito sapesse del forchettone sul freno d’emergenza. E anche Nerini, che si è chiuso nel silenzio, prima di essere fermato aveva detto di non sapere nulla sulle cause dell’incidente.
L’avvocato Da Prato racconta di aver avuto “un lungo e approfondito colloquio” con il suo cliente. Hanno esaminato le ipotesi accusatorie “che comunque ricaviamo solo dalla stampa, visto che non abbiamo ancora accesso agli atti”. L’ingegner Perocchio “respinge in radice le accuse e sconfessa la deposizione” fatta da Gabriele Tadini, il responsabile del funzionamento della Funivia del Mottarone.
“Tanto cosa vuoi che capiti?”
Luigi Nerini, Enrico Perocchio e Gabriele Tadini, i tre fermati accusati dalla procura di Verbania di omicidi colposo plurimo per la tragedia sulla funivia del Mottarone, in concorso tra loro, “omettevano di rimuovere i forchettoni rossi aventi la funzione di bloccare il freno” della cabinovia quindi “destinato a prevenire i disastri”, così “cagionando il disastro da cui derivava la morte delle persone”, si legge nel capo di imputazione della procura di Verbania nei confronti del gestore della funivia, del consulente esterno e del capo servizio dell’impianto.
Dopo i tre fermi scattati ieri nell’inchiesta sulla tragedia del Mottarone si attendono gli interrogatori davanti al gip di Verbania. Che, con tutta probabilità, avverranno tra venerdì e sabato. “Non abbiamo ancora depositato la richiesta di convalida, cosa che faremo domani pomeriggio”, fa sapere il procuratore capo Olimpia Bossi che da domenica lavora senza sosta all’inchiesta. Da quanto trapela, ieri chi indaga ha effettuato nuove acquisizioni e le informazioni che si accumulano sul tavolo della procura sembrano destinate ad accrescere il numero degli indagati.
Secondo l’accusa tutti sapevano del rischio che correvano. Erano consapevoli che sarebbe bastata una fatalità per provocare un disastro. Ma, spiega oggi La Stampa, pur di non far perdere gli incassi delle corse al capo, che piangeva miseria da mesi, hanno fatto carta straccia di ogni norma di sicurezza: “Tanto, che cosa vuoi che capiti?”. Venti euro a passeggero, sconti per i bambini e comitive. E 14 morti in più.