Sui verbali di Piero Amara che sono stati inviati ad alcuni giornali, spunta un altro colpo di scena. Dopo la denuncia alla Procura di Milano di un cronista che ha raccontato di aver ricevuto diversi documenti in un plicco anonimo, il procuratore Francesco Greco affidò l’indagine sulla fuga di notizie a Paolo Storari (nella foto) ossia il pm indagato dai colleghi di Roma proprio perché ritenuto colui da cui tutto sarebbe iniziato.
Un’indagine durata ben poco perché il magistrato, il quale aveva appena fatto in tempo a disporre una perizia per stabilire la provenienza delle carte, dopo essere venuto a conoscenza che nell’indagine aperta nella Capitale era coinvolta l’ex segretaria di Piercamillo Davigo, al quale lo stesso pm aveva dato quelle carte per autotutelarsi dalla presunta inerzia nell’indagine sulla loggia Ungheria, decise di spogliarsi del procedimento.
Un passo indietro che avviene l’8 aprile quando Storari racconta a Greco che le carte oggetto d’indagine erano proprio quelle che un anno prima aveva consegnato all’ex consigliere del Consiglio superiore della magistratura Davigo. Con il coinvolgimento del magistrato milanese, l’inchiesta sulla fuga di notizie è stata trasmessa a Roma che ha iscritto al registro degli indagati, per rivelazione di segreto d’ufficio, proprio Storari.
Una vicenda contorta e che lascia molti punti interrogativi che i pm di Roma, guidati dal procuratore Michele Prestipino, intendono chiarire domani quando il magistrato indagato sarà sentito. Un’audizione attesa da giorni che sembra destinata a costituire un crocevia per le sorti del fascicolo la cui competenza balla tra la Procura della Capitale e quella di Brescia dove, non più tardi di due giorni fa, è stato aperto un fascicolo – a tratti analogo – in cui si ipotizza il reato di rivelazione di segreto d’ufficio anche se, al momento, senza indagati.
Quel che è certo è che il pm Storari ha già fatto sapere di voler raccontare la propria verità sull’intera vicenda e che per farlo porterà ai pm una serie di documenti per spiegare le motivazioni che lo hanno spinto a fare avere a Davigo i verbali resi da Amara tra dicembre 2019 e gennaio 2020 nell’ambito di un’altra inchiesta. Carte alla mano il magistrato fornirà anche la sua versione sia sui ritardi nelle indagini sulla presunta loggia Ungheria, a suo dire ordinati dai vertici della procura, che sui suoi contrasti con i procuratori aggiunti Fabio De Pasquale e Laura Pedio in relazione all’inchiesta sul cosiddetto “falso complotto Eni”.
DISCIPLINARE IN ALLERTA. Nel frattempo il Consiglio superiore della magistratura, già scosso dal precedente scandalo degli incontri carbonari orditi che ha coinvolto l’ex consigliere Luca Palamara, tenta di rialzare la testa. Dopo un silenzio durato fin troppo a lungo, accogliendo la proposta avanzata dai consiglieri togati della corrente Magistratura Indipendente, il plenum ha stabilito che il Csm si costituirà parte offesa in tutti gli eventuali procedimenti penali che si potrebbero aprire.
Contrariamente a quanto si possa pensare questa mossa non serve solo a tutelare l’organo di autogoverno in sede giudiziaria perché quest’ultimo, proprio grazie a questa decisione, potrà esercitare una lunga serie di prerogative, a partire dalla richiesta di atti alle quattro procure, ossia Milano, Roma, Perugia e Brescia, che stanno indagando sul presunto scandalo legato alle rivelazioni di Amara. Atti che potrebbero essere utili nell’eventualità, non tanto remota, che alcuni pm coinvolti finiscano davanti alla disciplinare del Csm.