di Stefano Sansonetti
L’emorragia dura da tempo e ormai non riesce più a passare inosservata. Quella in atto sembra essere un’autentica fuga dei manager da Expo 2015, la società pubblica che sta organizzando tra mille difficoltà la tanto attesa kermesse di Milano. L’ultimo abbandono eccellente è quello di Valerio Zingarelli, fino a poco tempo fa chief technology officer della società, in pratica il responsabile tecnologico di tutta la macchina organizzativa. Il fatto è che il disagio cresce. Il momento che sta vivendo Expo 2015, controllata da Tesoro, regione Lombardia, comune, provincia e camera di commercio di Milano, è talmente delicato che non si sa quasi più da che parte guardare. Di sicuro la società guidata Giuseppe Sala, dopo numerosi tentativi è riuscita a ottenere dal Consiglio dei Ministri i poteri speciali invocati non più di qualche giorno fa. Una sorta di extrema ratio ritenuta indispensabile a presentare con puntualità i lavori all’appuntamento di maggio 2015. Di certo l’abbandono sempre più consistente di top manager un tempo considerati strategici, seppur precipitosamente sostituiti, la dice lunga sull’aria che si respira nella società.
Le divergenze
Il caso Zingarelli sta facendo discutere. Ex Babelgum , Vodafone e Omnitel, il manager era entrato nella società con obiettivi ambiziosi, che grosso modo potrebbero essere riassunti nell’espressione “Cyber Expo”. In buona sostanza tutta la copertura tecnologica della manifestazione, a partire dagli accessi a internet e dalle reti wireless, sarebbe dovuta passare per le idee e i progetti di Zingarelli. Il quale, però, ha deciso di gettare la spugna. Nessuno se la sente di dire apertis verbis per quale ragione. Ma basta raccogliere un po’ di testimonianze di uomini vicini a Expo per capire che si tratta fondamentalmente di disagi organizzativi e divergenze con gli attuali vertici. Attriti che spesso si sono concentrati sulla carenza delle strutture e delle risorse a dispozione. Expo, sollecitata sul punto da La Notizia, ha fornito una versione che tende a minimizzare.
La premessa è che “l’Esposizione universale è una complessa e articolata avventura che viene costruita giorno per giorno da un team di persone che si confrontano su un progetto soggetto a costanti mutamenti”. E così vengono considerati “normali gli avvicendamenti, specialmente tra quei manager che hanno delle specificità molto precise”. Infine, riguardo al rapporto di lavoro con Zingarelli, la società precisa che “si è concluso nei tempi stabiliti dal contratto, con il raggiungimento degli obiettivi per cui il manager è stato chiamato a dare il proprio contributo”.
Sarà, ma l’impressione è che la giustificazione non riesca a sostenere tutte le defezioni degli ultimi tempi. Eh sì, perché qualche mese prima di Zingarelli è stata la volta di Shelly Sandall, manager americana da tempo attiva in Italia, entrata in Expo con la responsabilità dei settori marketing, corporate partner e sponsor. Anche in questo caso, a quanto è dato sapere, alla base dell’uscita dalla società ci sarebbero state ragioni legate all’assenza delle condizioni per poter svolgere proficuamente il proprio lavoro. Per carità, in ogni occasione Expo ha sempre provveduto a riorganizzare le strutture interne per coprire i buchi di organico che di volta in volta si sono presentati. Ma è chiaro che per la stessa società diventa difficile operare in un percorso costellato di fughe importanti. Di sicuro i casi di Zingarelli e Sandall erano stati anticipati dalle mosse di altri due profili ricordati da La Notizia dello scorso 18 aprile.
Le anomalie
La situazione come minimo anomala ha riguardato Renato Carli, ex direttore finanziario di Expo 2015. Ebbene, Carli ha lasciato l’avventura nel corso del 2012, ma a far discutere è stata la destinazione finale del suo spostamento.
Il manager, infatti, si è trasferito alla Bracco, gruppo farmaceutico che lo ha accolto nel ruolo di capo della direzione general affairs. Peccato che non fosse necessario essere maliziosi per notare che il gruppo farmaceutico fa capo proprio a quella Diana Bracco che non solo è presidente di Expo 2015, ma anche commissario generale del padiglione Italia. In molti si sono chiesti perché la Bracco, che pure sull’Expo ci ha messo la faccia, alla fine abbia deciso di “sottrarre” alla macchina orgnizzativa quello che all’epoca era responsabile di tutta la parte finanziaria.
Per non parlare del caso di Luciano Graziotti, chiamato in Expo come direttore delle risorse umane ma poi affrancatosi senza tanti complimenti per trasferirsi armi e bagagli al gruppo Avio, dove ricopre lo stesso ruolo. Diversi osservatori ricordano come Graziotti si fosse speso per il progetto “Open Source”, in pratica la possibilità per le aziende italiane di distaccare i propri dipendenti presso la società Expo 2015, al fine di rispondere ai suoi fabbisogni professionali.
@SSansonetti