Un giro gigantesco di false fatturazioni a livello europeo su prodotti informatici, concepito da una parte per truffare l’erario, dall’altro per riciclare i soldi dei clan di Palermo e Napoli. È quello scoperto e smantellato ieri dall’operazione della Procura europea (Oppo), che ha emesso 34 misure cautelari in carcere, 9 di arresti domiciliari e 4 misure interdittive.
Il gip ha inoltre disposto il sequestro preventivo di oltre 520 milioni di euro, corrispondente al valore complessivo della frode (sono state ricostruite false fatturazioni per 1,3 miliardi di euro in tre anni), pari all’Iva evasa e di diversi immobili tra Cefalù (Pa), Chiavari (Ge), Bellano (Lc), Noli (Sv), Cinisello Balsamo (Mi) e Milano.
Oltre 200 gli indagati nell’inchiesta della Procura europea
Gli indagati, oltre 200 persone fisiche e 400 società, devono rispondere, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alle frodi fiscali e al riciclaggio, aggravata dal metodo mafioso, reati fallimentari. Provvedimenti restrittivi, perquisizione e sequestri sono stati fatti anche in Spagna, Lussemburgo, Repubblica Ceca, Slovacchia, Croazia, Bulgaria, Cipro, Olanda, Svizzera e gli Emirati Arabi.
Il sistema si basava sulle “frodi carosello”
L’obiettivo della banda era quello di evadere l’Iva intracomunitaria nel commercio di prodotti informatici e riciclare i relativi profitti. Per gli inquirenti a sistema criminale, che si basava sulle cosiddette frodi carosello, avrebbero preso parte anche esponenti della criminalità organizzata, incaricati di gestire alcune delle filiere di società utilizzate nei circuiti, già finiti sotto inchiesta a Milano, e del rinvestimento del denaro sporco dei clan.
Secondo gli inquirenti l’organizzazione avrebbe tra l’altro “agevolato economicamente consorterie di stampo mafioso, tra cui il clan camorristico Di Lauro di Scampia ed il clan camorristico Nuvoletta di Marano di Napoli, reinvestendo i proventi illeciti nel circuito della frode all’IVA e successivamente riversando i profitti anche per il complessivo sostentamento della organizzazione criminale”.
I referenti in Cosa nostra e della “camorra” napoletana garantivano “la reciproca correttezza nella gestione degli affari, il recupero delle somme di denaro derivanti da eventuali ammanchi di gestione”, e cercavano di “comporre i conflitti e le controversie, non solo di natura economica, eventualmente nate tra i diversi associati e tra costoro e soggetti esterni utilizzati nel circuito nazionale ed internazionale della frode all’Iva”.
Usavano i soprannomi de “La casa di carta”
Per alcuni degli indagati, che utilizzavano come pseudonimi, i soprannomi usati nella serie “La Casa di Carta”, come Rio e Berlino, l’unica preoccupazione era la Procura Europea, considerata il primo nemico. Come conferma l’intercettazione di uno degli indagati, rappresentante del clan di Brancaccio: “Parlavamo con persone e mi hanno detto stai attento cioè è cambiato tutto in Europa con la Procura Europea, non si scherza… A parte che anche prima erano già diventati pesanti comunque in generale… Non scherzate più, cambiate il modo di lavorare, cambiate il modo. .. Spersonalizzate le persone, perché la Procura Europea è come l’FBI”.
E ancora: “Non si comportano più tra nazioni che una chiede l’autorizzazione all’altra, – spiega non sapendo di essere intercettato – il giudice non si conosce, quell’altro che non si sopporta… Lavorano in team, cioè il tedesco passa al telefono con l’italiano, si sentono, parlano. Si scambiano informazioni… Si fanno dare delle informazioni anche tipo FBI… Mi dici il nome di chi c’è dietro tutto quanto e poi ce la vediamo noi? Prima non facevano una cosa del genere!” spiegava preoccupato. E a ragione.