Patti chiari e amicizia lunga. Il messaggio è forte e chiaro: sul referendum sul taglio dei parlamentari, previsto il 20 settembre in concomitanza col voto per le regionali, il Movimento 5 stelle non transige. Del resto una delle basi sottostanti alla nascita del secondo Governo Conte erano proprio le riforme istituzionali: il taglio del numero dei parlamentari, la riforma della base elettiva del Senato e del presidente della Repubblica e la legge elettorale. Ed proprio su quest’ultima che si è innescata l’ennesima querelle all’interno della maggioranza giallorossa.
Ad accendere la miccia il dirigente del Pd Goffredo Bettini (molto vicino al segretario Nicola Zingaretti) che in un’intervista a Repubblica ha parlato di “pericolo per il sistema democratico”. “Senza una riforma istituzionale e elettorale, dimezzare i parlamentari può essere perfino pericoloso per il regime democratico. La situazione si complica. Non è un azzardo votare Sì”, queste le parole di Bettini, che poi sottolinea come il suo partito non abbia nessuna responsabilità sul fatto sul fatto che sia saltato l’accordo sulla legge elettorale sottoscritto da tutta la maggioranza. Il convitato di pietra è sempre lui, Matteo Renzi, che alla vigilia del voto in commissione alla Camera ha cambiato idea.
Mentre Pd e M5s non vogliono andare al voto con la vecchia legge, il Rosatellum bis – sistema che non a caso deve il suo nome al relatore Ettore Rosato, attuale coordinatore nazionale di Iv)-, i renziani puntano ad abbassare la soglia di sbarramento (visti i sondaggi…) con un sistema che garantisca loro da una parte una rappresentanza (dalla quota proporzionale) e dall’altra di essere decisivi nei collegi in bilico. Bettini non lo cita ma il Pd ha accusato apertamente Renzi di aver tradito l’accordo iniziale siglato lo scorso 8 gennaio, ovvero quello di sostituire il Rosatellum con una legge proporzionale che prevede una soglia di sbarramento nazionale al 5%.
Sulla necessità di una nuova legge elettorale è stato molto chiaro (e coerente) anche il ministro pentastellato Luigi Di Maio: “Il taglio dei parlamentari dovrà essere accompagnato da una nuova legge elettorale che sia rappresentativa al massimo. C’è un accordo tra le forze politiche di maggioranza e va rispettato. Bisogna dimostrare serietà”. E ovviamente il ministro degli Esteri ribadisce come la misura sia una delle battaglie storiche del M5S: “Si tratta di una delle tante promesse mantenute dal MoVimento, una riforma che ho fortemente voluto e per cui sono stato attaccato in ogni modo. Raccontavano che sarebbe caduto il governo. Hanno fatto terrorismo psicologico in ogni sede. Ma non abbiamo mai mollato. E il 20 e il 21 voteremo per ridurre i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200, con grandi risparmi per le casse dello Stato e dei cittadini. Il 20 e il 21 settembre possiamo cambiare la storia e riportare l’Italia ad essere un Paese normale”.
Infine, sull’ ennesimo sparigliamento delle carte ad opera di Renzi interviene anche il deputato di LeU Stefano Fassina: “È molto grave la giravolta di Iv. Non può prevalere la rassegnazione di fronte a tale atto di inaffidabilità, nonostante la necessità dei renziani per la sopravvivenza dell’attuale maggioranza. La violazione del patto di governo per meri calcoli di bottega deve determinare conseguenze. Sarebbe grave se il Pd e il M5S lasciassero correre. Il Presidente Conte deve intervenire. La legge elettorale è, per natura, materia parlamentare. Ma in questo caso, è asse decisivo del programma di governo”. Il senatore di Rignano sempre più isolato dunque all’interno della maggioranza. E questa non è novità.
Forza Italia Viva. La trincea di Renzi, Silvio & C.
Difficile illudersi che Renzi potesse accettare la riforma elettorale proposta dal presidente della Commissione Affari costituzionali, il pentastellato Giuseppe Brescia: un proporzionale con lista di sbarramento al 5 per cento che preclude ai micro-partitini (non solo Iv, ma anche i movimenti guidati da Carlo Calenda ed Emma Bonino) ogni speranza di rimettere piede a Montecitorio e palazzo Madama. In ogni caso uno strappo rilevante quello del senatore fiorentino perché è la rottura di un accordo politico stretta nel momento in cui tutti in maggioranza avevano deciso di far viaggiare la legge elettorale sullo stesso binario del referendum sul taglio dei parlamentari.
Ma se l’ex premier è il bastian contrario in casa dei giallorossi, nella coalizione di centrodestra ci pensa Forza Italia a giocare in quel ruolo. Non solo sul famigerato Mes ma anche sulla consultazione referendaria il partito di Silvio Berlusconi va controcorrente tanto che tra i soci fondatori del comitato “Noi no” che si batte per il No al referendum confermativo alla riforma Fraccaro ci sono i deputati Simone Baldelli (nella foto di destra) e Deborah Bergamini e i senatori Giacomo Caliendo, Andrea Cangini e Nazario Pagano. Baldelli ci ha addirittura scritto un libro, “Il coraggio di dire no al taglio della nostra democrazia”, oltre ad essere attivissimo sui social con l’hashtag #iovotono, mentre il senatore Pagano ha definito la decisione di abbinare il referendum al voto per le regionali addirittura “una violenza di parte”.
E l’ha spiegata così: “Se c’è la necessità di allungare lo stato d’emergenza e quindi non ci possono essere assembramenti, che senso ha proporlo (il referendum, ndr) se poi si prevede che si debba andare a votare?”. Non si capisce però perché il ragionamento sugli assembramenti debba valere perché c’è l’abbinamento al referendum. Per le sole regionali non ci sarebbero stati problemi? Misteri azzurri.