Sembra proprio che sarà più difficile dismettere la toga per entrare subito in politica. Sarà per effetto dello scandalo al Csm, con gli ormai famigerati incontri carbonari, i dossier e le trame di palazzo tra parlamentari e magistrati, ma un disegno di legge a firma del forzista Giacomo Caliendo sta provando a mettere mano alla normativa che regola le cause di ineleggibilità e di incandidabilità dei pm. Una questione atavica del Paese che domani verrà trattata, in seduta congiunta, delle commissioni Giustizia e Affari Costituzionali. Contrariamente a chi la pensi diversamente, non si tratta di una questione di poco conto perché va a toccare i diritti del cittadino e le sue legittime aspirazioni.
DIRITTI E DOVERI. In tal senso la nostra Costituzione parla chiaro e spiega che “tutti i cittadini” hanno sia “il diritto di accedere alle cariche elettive” che quello di conservare il proprio posto di lavoro per farci ritorno quando lo desiderano. Insomma parliamo di diritti sacrosanti che, però per FI, rischiano di cozzare con il principio della terzietà, ossia l’indipendenza di giudizio del singolo giudice rispetto sia alle parti che all’oggetto della controversia, su cui si fonda la magistratura stessa. Dunque sciogliere questo rebus non è affatto semplice e non si può ricorrere a formule populistiche. Così l’idea alla base del disegno di legge, il cui relatore sarà il leghista Emanuele Pellegrini, è di introdurre una serie di pesanti limitazioni. Principio di partenza del testo, basato sui 15 articoli, è quello di istituire paletti in ingresso e in uscita validi per tutti i magistrati, non solo per quelli ordinari.
PUNTI NODALI. L’articolo 1 è senza dubbio il nocciolo della questione perché prevede tutte quelle norme generali in tema di candidatura dei giudici valide per “le elezioni di ogni livello (Parlamento europeo,Parlamento nazionale, regioni, città metropolitane e comuni)”. Sarà introdotto “un divieto di candidatura nel territorio di competenza giurisdizionale dell’ufficio nel quale si esercitino le funzioni o si siano esercitate nei cinque anni antecedenti la data di accettazione della candidatura” e viene previsto che il magistrato, per potersi proporre al fianco di un partito, debba trovarsi in aspettativa “all’atto di accettazione della candidatura in caso di elezioni anticipate” o già da sei mesi prima “in casi di scadenza naturale della legislatura o della consiliatura”.
Non meno importanti gli articolo 5 e 6 in cui vengono disciplinati i ricollocamenti in ruolo dei magistrati, tanto degli eletti al Parlamento nazionale o europeo che dei non eletti. In entrambi i casi non sarà possibile essere assegnati ad un ufficio della regione in cui si sono presentati e che fa parte della circoscrizione elettorale. Ma c’è di più perché il ricollocamento, se dovesse passare questo testo, dovrà avvenire nella funzione di giudicante e non in quella di inquirente, per la durata di cinque anni e con l’ulteriore vincolo di far parte esclusivamente di organi collegiali.