Sembra proprio che il blitz della Procura di Pavia, con cui è stata effettuata la copia forense del suo cellulare, non sia andato giù al governatore Attilio Fontana. Come preannunciato nell’immediatezza dei fatti, quando il presidente della Lombardia ha parlato di un’operazione “troppo invasiva”, è arrivato – puntuale come un orologio svizzero – il ricorso al Riesame contro l’acquisizione del contenuto del suo telefono effettuata nell’ambito dell’inchiesta sui test sierologici affidati, secondo i pm in modo sospetto, alla Diasorin. A parere dell’avvocato Jacopo Pensa, legale di Fontana, ci sarebbero “violazioni di carattere costituzionale e di principi stabiliti dalla Cassazione” nelle modalità con cui la Guardia di Finanza di Pavia, su disposizione della Procura pavese, ha acquisito tutti i contenuti, soprattutto chat, mail e messaggi, dal telefonino del presidente della Lombardia.
Esattamente quanto si legge nell’analogo ricorso presentato anche dagli altri destinatari delle acquisizioni ossia l’assessore al Welfare Giulio Gallera, la responsabile della segreteria della presidenza Giulia Martinelli che come il governatore leghista non risultano indagati in relazione all’accordo tra la multinazionale Diasorin e il Policlinico San Matteo per lo sviluppo dei test sierologici per la diagnosi del Covid-19. Sostanzialmente viene contestato ai pubblici ministeri la decisione di copiare interamente i contenuti degli smartphone anziché fare acquisizioni mirate basate su parole chiave.
Intendiamoci il ricorso è legittimo ma stride con quanto scritto nel decreto di copia forense, redatto dalla Procura di Pavia, dove si legge in modo chiaro e netto che le acquisizioni si limitano “all’alveo dei fatti oggetto di contestazione penale”. Copie che, tra le altre cose, sono state rese necessarie, questo secondo quanto sostengono nell’atto i magistrati, dal fatto che dai cellulari delle otto persone già indagate, tutti manager di Diasorin e del Policlinico San Matteo, sono state cancellate diverse chat che sarebbe possibile ricostruire proprio grazie ai telefonini di Fontana, Gallera e della Martinelli.
L’AFFAIRE CAMICI. Per una curioso caso del destino, da qualche tempo i cellulari sembrano diventati il tormento di Fontana. Il 24 settembre, infatti, nel mirino della Procura di Milano e in relazione alla fornitura di camici all’azienda Dama spa, erano finiti nel mirino dei pm i cellulari della moglie e di altre persone, tra cui sempre Martinelli e gli assessori Raffaele Cattaneo e Davide Caparini, per fare una ricerca di messaggi mirata su una serie di parole chiave. Si tratta dell’inchiesta sulla fornitura regionale da oltre mezzo milione di euro di camici, poi trasformata in donazione, assegnata a Dama ossia l’azienda di Andrea e Roberta Dini, rispettivamente cognato e moglie del governatore.
Vicenda per la quale la moglie di Fontana avrebbe messo a disposizione del fratello-socio, indagato assieme al presidente della Lombardia, la sua rete di contatti. Sempre lei, scrivono i pm, è quella che informa il fratello del bonifico da 250mila euro disposto dal governatore leghista, in quello che appare una sorta di risarcimento, quando la fornitura di Dama spa è stata trasformata di fretta e furia, dopo l’inchiesta giornalistica di Report, in donazione. Un indennizzo per il quale i pm ritengono ci sia stato “un diffuso interessamento di Fontana” con “volontà di evitare di lasciare traccia del suo coinvolgimento mediante messaggi scritti”.