Proprio quando tutti si aspettavano la chiusura dell’inchiesta sulla trattativa all’hotel Metropol di Mosca, ecco l’inattesa novità da parte della Procura di Milano. I pm di Milano titolari del fascicolo sulla presunta corruzione internazionale per far entrare una pioggia di denaro nelle casse del Carroccio, hanno ottenuto una proroga delle indagini di sei mesi. Una mossa che fa capire come questo caso giudiziario, in cui sono indagati l’ex portavoce di Matteo Salvini e presidente dell’associazione LombardiaRussia Gianluca Savoini, l’avvocato Gianluca Meranda e l’ex bancario Francesco Vannucci, sia tutt’altro che finito e che potrebbe portare ad ulteriori sviluppi. Ma soprattutto dimostra, per l’ennesima volta, quanto fosse fuori strada il Capitano quando bollava il procedimento come una baggianata. Anzi ora sembra proprio che il leader della Lega farebbe bene a prendere la cosa sul serio perché, a cadenza regolare, spuntano nuovi particolari che aggiungono interrogativi che non possono essere ignorati.
SERVE PIÙ TEMPO. Per quanto la richiesta di prorogare le indagini sia tutt’altro che rara in un procedimento penale, in questo caso non sembra trattarsi di una semplice formalità. Una circostanza, questa, che trova spiegazione proprio nelle indiscrezioni che filtrano dalla Procura e secondo le quali i pm stanno viaggiando su un doppio binario. Da un lato c’è la necessità di continuare l’analisi e le trascrizioni delle registrazioni presenti nello smartphone dell’avvocato Meranda in cui si ritiene ci sarebbe la genesi e l’intero sviluppo della trattativa. Dall’altro c’è il tentativo di risalire alla rete di contatti usata da Savoini, considerato l’uomo chiave in questa storia, per organizzare l’incontro al Metropol e mettere in piedi la trattativa che, a conti fatti, avrebbe fruttato al Carroccio un finanziamento da 65 milioni di dollari per la campagna elettorale del 2018.
Un punto, questo, che potrebbe essere decisivo anche per individuare eventuali altre persone coinvolte nella vicenda. Del resto proprio sotto questo aspetto, quasi un mese fa qualcosa sembrava smuoversi. Nella Procura di Milano veniva interrogata la giornalista russa della Tass, Irina Aleksandrova, che forniva una serie di dettagliate informazioni, immediatamente secretate dai magistrati, legate alla vicenda al centro dell’indagine ma che nulla hanno a che fare con la sua attività professionale. La donna, infatti, è la stessa che, il 16 luglio scorso, compare a fianco di Salvini durante una conferenza stampa fatta al termine di una serie di incontri dall’allora ministro dell’Interno.
Attività normali per un ministro ma che, questo il sospetto dei pm, si intrecciano con l’inchiesta sul Russiagate perché uno di questi summit era stato tenuto con rappresentanti di spicco del Consiglio per la Sicurezza nazionale russo. Una riunione per la quale il Viminale ha indicato, come da prassi, la lista della delegazione ufficiale al seguito del ministro tra cui, alla voce “Staff del ministro Salvini”, compare il nome di Savoini. Può sembrare un dettaglio di poco conto ma questa è la prova finale della sua presenza a Mosca, per giunta in veste ufficiale, che era stata a lungo smentita proprio dal Capitano.