di Carmine Gazzanni
Sarà anche una “buona scuola” quella di Matteo Renzi e Stefania Giannini, ma certamente poco tecnologica se, come emerge dalla relazione della Corte dei Conti, nell’ultimo anno scolastico le aule in cui ritrovavamo almeno un computer erano solo il 7 per cento del totale e quelle dove era usato un tablet, addirittura il 2. È solo un esempio, questo, di come il progetto per rendere “tecnologica” la scuola italiana (avviato nel novembre 2012) sia, oggi, fallimentare. Tempi scaduti e non rispettati, procedure bloccate per anni a causa di continui ricorsi al Tar e – paradosso dei paradossi – i costi per carta, stampanti e via dicendo in alcuni casi addirittura aumentati. È questo il pesante bilancio che tratteggiano i magistrati contabili nella loro relazione sullo stato di realizzazione del piano adottato dal ministero dell’Istruzione per la “dematerializzazione delle procedure amministrative nei settori dell’istruzione, dell’università e della ricerca e nelle comunicazioni con i docenti, il personale, gli studenti e le famiglie”. Parliamo, dunque, di tutti quei processi – dal registro elettronico alle iscrizioni online fino al sistema informatico di ricerca interuniversitario e agli archivi virtuali – concepiti soprattutto per limitare l’utilizzo di carta e, dunque, concorrere al taglio delle spese.
UN CONSIGLIO AL CONSIGLIO – Come detto, nonostante siano abbondantemente trascorsi i tempi prestabiliti, molto poco è stato fatto. Soprattutto perché a occuparsi delle cinque parti del progetto (dipartimento; uffici di diretta collaborazione; istituzioni scolastiche; università e ricerca; infrastrutture a supporto della dematerializzazione) avrebbe dovuto essere il Consorzio Interuniversitario per il calcolo automatico dell’Italia Nord Orientale (Cineca). Peccato però che la collaborazione col super-cervellone del Miur sia stata bloccata per ben due anni. Le ragioni? Per “indisponibilità di fondi” e, soprattutto, perché era stata sospesa la collaborazione tra Miur e Cineca a seguito di una serie di ricorsi, su cui solo il 30 gennaio 2015 si è espresso il Consiglio di Stato, consentendo di riavviare quanto si era interrotto. Troppo tardi, però. Molti dei punti del programma già avrebbero dovuto essere onorati.
RITARDI CLAMOROSI – Cosa, ovviamente, non fatta. Per dire: il piano prevedeva, tra le altre cose, la gestione informatizzata degli atti diramati dalla Presidenza del consiglio. Mai avvenuto, nonostante la scadenza fosse prevista per novembre 2013. Due anni di ritardo. Esattamente lo stesso che si registra per la “realizzazione di nuove funzionalità per digitalizzare i procedimenti ministeriali che prevedono ancora l’uso del cartaceo”. Ma c’è anche di peggio. Alcuni step richiedevano tempi più che veloci. Anche solo un mese, dato che il termine limite era stato fissato da novembre a dicembre 2012. Tutto in fumo. Pure su questioni assolutamente superficiali. Un esempio? Entro la fine del 2012 si prevedeva la “pubblicazione dell’indirizzo e-mail istituzionale sui siti web” dell’Area Organizzativa Omogenea del Miur e “su tutti i moduli ed i modelli recanti l’intestazione ministeriale”. Un punto abbastanza immediato, si penserà. E invece no, dato che ancora non è stato fatto. Totale: tre anni di ritardo.
VEDREMO E FAREMO – Ma non è tutto. Perché ci sono anche i casi in cui non si sa nemmeno cosa si sia fatto fino ad ora. È il caso dell’Afam (l’ente ministeriale che si occupa di “Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica”) per cui pure si prevedeva una totale dematerializzazione dei documenti. Ebbene, con nota del 28 agosto scorso, l’amministrazione ha riferito che “per il comparto Afam la digitalizzazione dei processi è in corso di definizione”. Cosa vuol dire questo? Non si sa, dato che non sono indicati dati precisi sulle attività compiute, bensì unicamente propositi rivolti al futuro. Un vedremo e faremo totale.
EPPURE SI STAMPA DI PIÙ – Eppure qualche risultato positivo è stato comunque raggiunto. Soprattutto per quanto riguarda registri e iscrizioni. Secondo i dati trasmessi dal Miur, infatti, il 69 per cento delle scuole italiane ha introdotto il registro online, mentre il registro elettronico lo ritroviamo nel 74 per cento dei casi. Certo, siamo ancora lontano da una diffusione tout-court delle pratiche tecnologiche ma, in confronto a quanto detto sinora, non c’è da lamentarsi. Ma a questo punto chiediamoci: saranno state tagliate le spese? Ni. Nel senso che risparmi negli anni ci sono stati, ma non imputabili al programma di dematerializzazione, come i magistrati dicono chiaramente, quanto alle politiche di spending review. Il punto, infatti, è che il processo potrebbe non bastare, vista “l’esistenza di comportamenti dei dipartimenti, delle direzioni generali e dei singoli operatori, che denotano un non completo abbandono dell’abitudine all’uso del supporto cartaceo. L’uso della firma digitale non è quindi completamente diffuso e talvolta è duplicato dall’invio cartaceo del documento”. A riprova di quanto detto, i dati relativi alle spese per stampanti e fotocopiatrici. Se nel 2013 erano state abbondantemente tagliate dal Miur, riducendosi a 550 mila euro, nel 2014 sono tornate a crescere (638 mila euro). Alla faccia dei risparmi e dello spreco di carta.
Tw: @CarmineGazzanni