Flop Albania, Piantedosi rilancia la trasformazione degli hotspot in Cpr. L’opposizione: “Un’operazione fallimentare”

Giustificare il flop dei due hotspot albanesi. Il piano del governo per trasformarli in Centri per i rimpatri. Schlein: "Fallimento totale"

Flop Albania, Piantedosi rilancia la trasformazione degli hotspot in Cpr. L’opposizione: “Un’operazione fallimentare”

Dimostrare che i centri realizzati a Gjader e Shengjin (Albania), nati per accogliere migranti raccolti nel Mediterraneo, costati circa un miliardo e desolatamente vuoti, non sono stati un’avventura disastrosa. È quanto sta provando a fare il ministro degli Interni, Matto Piantedosi, rilanciando l’idea di trasformarli in Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), dove stipare “i migranti irregolari che non hanno diritto a rimanere in Italia”.

In settimana il decreto sui Cpr albanesi

Anzi, per il ministro in settimana dovrebbe arrivare a Palazzo Chigi il decreto per trasformare gli hotspot albanesi in Cpr che, spiega il ministro, manterranno “l’originaria funzione” e “l’effetto deterrenza sarà comunque accresciuto dal fatto che aumentiamo i rimpatri. Oggi siamo a +35% rispetto all’anno scorso”.

“Cpr o strutture come quelle dell’Albania sono già pronte ed entreranno in funzione entro la metà del prossimo anno”, ha aggiunto ieri Piantedosi, “e saranno corrispondenti a regole europee e a quanto disposto dalla Corte di Giustizia Europea. L’Italia ha l’obbligo, a giugno 2026, di farsi trovare pronta con circa 8mila posti come Paese di prima frontiera, per trattare le procedure accelerate di frontiera”, ha sottolineato.

L’attacco delle opposizioni

Dichiarazioni che, per le opposizioni, ribadiscono il fallimento dell’operazione Albania, nata sotto tutt’altri auspici e azzoppata dalle sentenze dei tribunali. Per la segretaria dem Elly Schlein, Piantedosi “certifica in maniera definitiva il completo fallimento del modello Albania e si arrampica sugli specchi, pontificando su riconversioni e riutilizzi”.

Piantedosi si vanta per la diminuzione degli sbarchi

Secca la replica del ministro, che, oltre a rilanciare l’opzione Cpr, si è anche vantato della diminuzione degli sbarchi. “In questo primo scorcio di anno rileviamo un ulteriore calo degli arrivi, a oggi, di circa il 17% rispetto allo stesso periodo del 2024, un anno che a sua volta aveva fatto registrare una significativa riduzione degli sbarchi a fronte di quello precedente pari a -58% e di circa -37% rispetto a quello precedente ancora”, ha detto.

“Siamo soddisfatti perché rileviamo l’evidenza del lavoro che stiamo facendo per contrastare gli affari dei trafficanti di esseri umani, anche se il permanere di elementi di instabilità in alcuni Paesi di partenza ci inducono a mantenere alte cautela e attenzione”.

Meno sbarchi perché ci sono meno controlli e per il ricatto della Libia

Numeri che però Piantedosi non mette in relazione né con la diminuzione degli interventi di soccorso in mare (e che quindi incidono sul calcolo degli sbarchi), né sui rapporti – economici – che l’Italia intrattiene con la Libia per evitare le partenze. Più si paga, meno barchini partono. E l’esempio è arrivato nei giorni del caso Almasri, quando le partenze del Paese si impennarono, fino a quando l’Italia non liberò il criminale internazionale. Un esempio chiaro di come l’Italia stia (non) gestendo il fenomeno migratorio.