Non c’è un comitato promotore. Non c’è stata la mobilitazione per la raccolta delle firme, né con banchetti fisici né con lo Spid. Il referendum sul Reddito di cittadinanza, annunciato in pompa magna (leggi l’articolo), è sparito dai radar: rinviato a data da destinarsi. Un flop per Matteo Renzi, che in piena estate profetizzava “una straordinaria mobilitazione di Italia Viva, comune per comune”, andando “casa per casa”. L’ex presidente del Consiglio, in una e-news datata 9 agosto, garantiva: “Stiamo stilando il calendario preciso della raccolta firme”.
L’estate è finita, gli italiani sono rientrati al lavoro e la mobilitazione non è mai iniziata. A poche ore dalla scadenza (il 30 settembre) per la consegna delle firme, La Notizia ha avuto la conferma che non ci sono sottoscrizioni da sottoporre al vaglio della Corte di Cassazione per validare la consultazione contro il Reddito di cittadinanza. “Come per tutti i referendum bisogna prima depositare il quesito alla Corte e poi iniziare la raccolta di firme”, spiegano fonti di Italia viva. “Per quest’anno non era più possibile fare in tempo per i referendum di primavera”, puntualizzano dai vertici di Iv. E promettono comunque l’impegno per il futuro: “Faremo tutto”.
La tempistica è difficile da immaginare, visto che l’eventuale consultazione sul Reddito di cittadinanza dovrebbe celebrarsi nel 2023, anno in cui sono in programma le elezioni Politiche. Le parole di Renzi sono state solo una trovata propagandistica per attaccare la misura voluta dal Movimento 5 Stelle. E dire che, anche a inizio settembre, l’ex Rottamatore rilanciava con toni spavaldi la sfida: “La mia è una partita win-win. Credo che avremo gran successo nella raccolta firme”. Poche ore dopo, alla scuola di formazione politica Meritare l’Europa, ha fatto un passo in avanti, illustrando alla lettera il quesito esatto da sottoporre agli elettori: “Volete che sia abrogato il dl 28 gennaio 2019, n.4 ‘Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni’, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26 limitatamente al capo I, art. Da 1 a 13, recanti ‘disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza’…”.
I RADICALI UMILIANO MATTEO. Tutto pronto per la mobilitazione, allora? Macché. Da allora la battaglia referendaria è finita nel silenzio: sul web non c’è traccia neppure di un comitato promotore. L’iniziativa non ha incontrato il favore delle masse, come è capitato invece per altre consultazioni: sull’eutanasia e sulla cannabis si è creato, in poche settimane, un movimento di sostegno. Tanto che i comitati promotori sono pronti a consegnare le firme necessarie in Cassazione per fare indire il referendum. E c’è un altro segnale dell’harakiri renziano: addirittura sui canali ufficiali Italia Viva la proposta arranca. La petizione per chiedere un referendum, promossa sul sito del partito da Renzi in persona in un’altra e-news, è sotto le 5mila firme.
Inchiodata esattamente a quota 4.852 sottoscrizioni online, meno della metà dell’obiettivo di 10mila firme fissato inizialmente. “Noi siamo per dare una mano a chi non ce la fa. Ma pensiamo che sia sacrosanto che la prima mano ciascuno se la dia da solo, mettendosi in gioco. Se poi uno fallisce, lo Stato deve aiutare”, si legge nell’appello via web. “Ma l’idea che si parte dalla certezza di un reddito in quanto cittadini e questo permetta di rifiutare la fatica dell’impegno in nome della pigrizia del sussidio è insopportabile”, incalza Renzi nel suo discorso motivazionale. Ma, nonostante tanto rumore, il suo sogno di cancellare il Reddito di cittadinanza si allontana. Come lo spauracchio di un referendum esistito solo nelle intenzioni.