“Finito il mercantilismo europeo, i dazi ne sono il frutto amaro”: parla l’economista Fassina

Fassina: la ricetta neo-liberista globale ha fallito: "I dazi di Trump un'occasione per una svolta keynesiana”.

“Finito il mercantilismo europeo, i dazi ne sono il frutto amaro”: parla l’economista Fassina

Stefano Fassina, economista e oggi presidente dell’associazione Patria e Costituzione, quanto possono far male all’Europa e, in particolar modo, all’Italia i dazi di Donald Trump?
“Dipende. Dipende da quale reazione abbiamo. Il mercantilismo, ideologia e prassi dell’Unione europea e dell’eurozona, è finito. Il mercantilismo è una visione economico-politica in base alla quale la massimizzazione delle esportazioni è l’unica o almeno la principale via alla ricchezza di una nazione. Persegue la competitività attraverso la svalutazione del lavoro. È una forma di nazionalismo intrinsecamente insostenibile. Determina l’innalzamento di barriere. I dazi USA sono effetto delle politiche mercantiliste di Cina, Germania, quindi Ue, e Giappone. A Francoforte, a Bruxelles e nelle capitali degli Stati dell’Unione, si rincorre Trump lungo due strade. La prima è senza uscita: prevede ritorsioni, un’arma piuttosto spuntata verso chi ha scelto di puntare sulla domanda interna. La seconda è folle: prospetta l’appeacement attraverso l’impegno a comprare gas e armi dagli Stati Uniti. Così, i maggiori costi per l’energia si abbatterebbero sulla boccheggiante manifattura continentale, mentre la dipendenza da ulteriori forniture belliche americane consoliderebbe la mutazione genetica dell’Ue al warfare. Lungo entrambe le strade, si farebbero molto male gli Stati Ue, in particolare quelli più manifatturieri, quindi in primis Germania e Italia”.

Alcuni economisti sostengono che i dazi aumentino le disuguaglianze. E dunque finiranno per danneggiare non solo i Paesi poveri ma anche gli americani.
“La stragrande maggioranza degli economisti che prevede sciagure dovrebbe, innanzitutto, riconoscere che la ricetta neo-liberista globale e quella ancora più feroce applicata nello sleale mercato unico europeo ha clamorosamente fallito. Gli americani che hanno votato Trump sono vittime di trent’anni di regressione. Sperare di riconquistarli con previsioni apocalittiche, da non escludere, non funziona”.

Ursula von der Leyen ha parlato di “contromisure chiare e proporzionate” che l’Europa è pronta ad adottare contro i dazi Usa. Come valuta l’atteggiamento tenuto finora sulla questione da Bruxelles?
“Le classi dirigenti nazionali ed europee dovrebbero prendere atto, almeno ora, della fine del ciclo neo-liberista e mercantilista del capitalismo. Il cambio di stagione apre l’opportunità per rianimare l’Ue del benessere sociale lungo una rotta keynesiana, ossia fondata sugli investimenti sulla rivalutazione del lavoro. I dazi trumpiani prospettati verso il nostro continente possono essere un’efficace leva per realizzare quanto invocato dal Rapporto Letta e dal Rapporto Draghi: il rimpatrio dei 300 miliardi di euro all’anno di risparmio europeo investito all’estero. I due Rapporti non lo rilevano, ma l’impiego di risparmio all’estero è riflesso dell’attivo negli scambi di beni e servizi: ogni euro in più di investimenti ‘in casa’, richiede un euro in meno di esportazioni. Per imboccare la via giusta, è necessaria, però, l’archiviazione del ‘sistema di guerra’ e la ripresa realistica di relazioni commerciali con la Russia. Il conflitto militare da una parte e quello commerciale dall’altra non lasciano speranza agli interessi di lavoratori e classi medie del ‘vecchio continente’”.

E invece come valuta la postura dell’Italia di Giorgia Meloni?
“La nostra Presidente del Consiglio è ferma. È di fronte ad un bivio. Deve scegliere se giocare in squadra con gli altri principali governi europei o affidarsi al rapporto bilaterale con la Casa Bianca per portare l’Italia ad un vassallaggio ancora maggiore. Per la sua scelta, è rilevante la direzione di marcia di Germania e Francia, entrambe in profondo travaglio”.

Trump ha deciso di chiamarsi fuori dall’intesa raggiunta dall’Ocse nel 2021 sulla tassazione globale delle multinazionali, significa che possiamo scordarcela?
“Ieri, sono stato ad un interessantissimo convegno organizzato da Nens, Oxfam e la Commissione per la riforma della tassazione internazionale delle imprese. Il prof Stiglitz ha sottolineato che gli Stati Uniti, anche con le amministrazioni democratiche, hanno sempre spinto al ribasso le ipotesi di accordo internazionale sulla tassazione minima. Ha ricordato che, dopo averle svuotate, neppure le firmavano. Quindi, non le applicavano. Anche qui, Trump squarcia il velo di ipocrisia e gioca a carte scoperte. Come ha detto il premio Nobel per l’economia, l’uscita degli Stati Uniti dall’iniziativa OCSE è un’opportunità per arrivare a intese più avanzate”.

“Posso annunciare che proporrò di attivare la clausola di salvaguardia per gli investimenti nella difesa”, ha detto von der Leyen. Che ne pensa?
“È una china molto pericolosa. La difesa comune è una necessità, ma il quantum dovrebbe essere il risultato di un’analisi bottom up, non dettato da un ordine esecutivo da Washington. Già oggi, la spesa dei 27 membri Ue è, in miliardi di euro, il doppio della Russia e 1,5 volte quella della Cina. È insensato misurarla in rapporto al Pil. L’obiettivo primario è coordinarla e orientarla verso il buy european. In ogni caso, la strada annunciata dalla Presidente della Commissione europea scarica sui deficit e debiti nazionali ulteriori aggravi. Prima o poi, si capirà che la disciplina al bilancio pubblico la impone la BCE attraverso i mercati finanziari e non i numerini del Patto d Stabilità e Crescita? La clausola di salvaguardia evocata dalla von der Leyen è impropria perché, nei Trattati, è prevista per allentamenti temporanei, in circostanze eccezionali, come il COVID. Le maggiori spese per la difesa, invece, sarebbero permanenti. In ogni caso, senza una radicale revisione della politica monetaria, per gli Stati a debito più elevato, come noi, determinerebbe aumenti dei tassi di interesse e imporrebbe maggiori oneri per il servizio del debito. Verrebbe compensata con ulteriori tagli al welfare. Sarebbe un rafforzamento dell’Europa del warfare. Qualora fosse davvero necessario aumentare le spese per la difesa comune, si dovrebbe istituire un fondo comune, alimentato da eurobond, ossia uno strumento come quello utilizzato per finanziare i PNRR, ma strutturale. Lo Statuto della BCE è superato, come la fase mercantilista che ha alimentato”.